Marco Tabacchini

La trasgressione utile e il paradosso della festa

Benedetto sei Tu, Signore nostro Dio,
che permetti ciò che è proibito.

Shabbetay Sevi


La festa ha sempre richiamato nell'immaginario comune un ambito estraneo a qualunque consuetudine, uno spazio eteronomo, ristretto ma ben definito, assolutamente differente da ogni altro aspetto dell'attività umana. Va certo riconosciuto a Caillois il merito di averne esposto coerentemente la sintassi, attraverso una lunga serie di studi, da L'uomo e il sacro fino a La vertigine della guerra. In particolare, di aver chiarito quanto sia stretto il rapporto tra l'ordine sociale e la sua trasgressione, tra il divieto posto e l'atto che ne sancisce l'infrazione. Al di fuori di questa luce, eventi come quelli dei Saturnali, delle Feste dell'Asino[1], per non parlare dei sacrifici cruenti, sarebbero a fatica riconducibili ad una qualsiasi motivazione razionale. In realtà, è lo stesso ordine costituito, l'ordine profano, che non solo autorizza, ma necessita di ricorrenti trasgressioni e contatti con l'ambito sacro. Comportandosi come un organismo, esso va inesorabilmente incontro all'invecchiamento, all'accumulazione delle tensioni nefaste, nonostante ogni tentativo di purificazione o di protezione, anzi, è proprio l'immobilità causata dai divieti che porta il sistema al suo penoso declino:

«L'eliminazione delle scorie accumulate nel funzionamento di ogni organismo, la liquidazione annuale dei peccati, l'espulsione del tempo vecchio non bastano. [...] I divieti si sono rivelati impotenti a mantenere l'integrità della natura e della società. A maggior ragione non potrebbero contribuire a restaurarla nella sua primitiva giovinezza. La regola non possiede in se stessa nessun principio capace di rinvigorirla. Bisogna appellarsi alla virtù creatrice degli dei e ritornare agli inizi del mondo, volgersi verso le forze che trasformano allora il caos in cosmo»[2].

Ecco quindi che gli uomini non hanno altro mezzo che il ricorso all'infrazione, capace di ripercorrere le gesta mitiche, anteriori ad ogni fondazione dell'ordine. Un ritorno a quella violenza che pone la Legge, unica forza al di là di ogni giustificazione, la sola in grado di fornire nuova linfa ad una società ormai ripiegata su se stessa da troppo tempo, richiusasi sulle sue proprie regole. Da qui allora una volontà di trasgressione e di rovesciamento, che sempre si è intrecciata con le manifestazioni del sacro.
Senza soffermarmi troppo su questi meccanismi, rimando al saggio di Alessandro Chalambalakis, Sacralità, rovesciamento e dispendio improduttivo, da cui prendo le mosse per seguire una nuova direzione. Nel trattare quella modalità di accesso al sacro che prende il nome di rito, Chalambalakis scrive giustamente:

«Il rito è precisamente quello spazio ufficiale nel quale il rivolgimento dell’ordinario a nome dello straordinario può avvenire e in cui è paradossalmente considerato lecito. Il rito autorizza quindi la trasgressione della norma, la rottura dell’interdetto che in periodo profano mantiene viva, a fini conservativi, la separazione tra la vita e il sacro, che protegge insomma la società dai disordini tipicamente legati alla sacralità»[3].

Una prima considerazione in merito è legata al carattere ufficiale che definisce lo spazio di rovesciamento del rito: se vi è trasgressione, essa è già inscritta all'interno della norma che viene successivamente infranta. Di più, l'infrazione è prevista dalla stessa norma, è attesa, e, in situazioni critiche come quelle descritte da Caillois, è addirittura voluta e desiderata. Non stupisce allora che i rovesciamenti da sacro a profano, e viceversa, vengano in un certo senso trattati come leciti, legittimati. La trasgressione è reale, non c'è dubbio, ma è in qualche modo autorizzata. Essa serve al mantenimento dell'ordine, al suo compimento e alla sua conservazione[4]. La stessa presenza di un calendario sacro indica che sacro e profano sono a tal punto codificati da essere separati minuziosamente, da essere relegati ciascuno nel proprio luogo e accuratamente separati: tempo del sacro[5], per usare un'altra espressione di Caillois, indica che esiste un'economia, un sapere della trasgressione, che ne decide le modalità, le tempistiche, la tempestività di immissione[6].
Un'aporia questa che non sfugge nemmeno a Bataille, che già nel '33 scrive un testo capitale come La nozione di dépense. Trattando dei risvolti improduttivi e dei bisogni di scatenamento e dissipazione intimi alle società, Bataille si accorge di quanto queste irruzioni di forze scatenate non siano legate ad una semplice emersione di pulsioni incontrollabili, ma piuttosto a situazioni in cui si configura «l'esistenza della dépense come una funzione sociale»[7]. Per quanto difficile da accettare, bisogna ormai prendere atto che una società umana possa avere, come lui, interesse a perdite considerevoli, a catastrofi che provochino, in conformità a bisogni definiti, tumultuose depressioni, crisi di angoscia e, in ultima analisi, un certo stato orgiastico[8].
Interesse, bisogni, tutto un vocabolario economico viene spiegato per far fronte all'utilizzo sociale della dépense, che da spreco suntuoso e improduttivo si smaschera così come semplice strumento di mantenimento e rifondazione dell'ordine. Come se i grandi quantitativi di energie dovessero essere controllati persino in quello che dovrebbe configurarsi come il loro spreco. (Foucault è molto vicino a questo discorso, quando, nella seconda parte della sua Storia della sessualità, L'uso dei piaceri[9], individua un insieme di pratiche legate al dominio dei piaceri e dei desideri che, lungi dall'interrompere le regole, ne stabiliscono i più sottili funzionamenti). Ma può esserci un'utilità, un'economia del sacro? Può la trasgressione essere senza infrazione, essere ridotta solo ad un significato di oltrepassamento ma senza alcuna irruzione contagiosa? In altri termini, può l'infrazione della norma annullarsi e perdersi nella conferma della norma stessa? La questione è complessa. Essa attraversa numerosi ambiti tra loro inscindibili, come i rapporti tra la trasgressione, il divieto, lo stato di eccezione e la sovranità, concetti cardine della filosofia politica, con cui spesso si è confrontato Giorgio Agamben[10]; o quelli tra la legge, la disciplina e un certo uso della criminalità, così come mostrano gli studi di Foucault in Sorvegliare e punire[11]; oppure, restando in termini religiosi, i problemi legati a quelle correnti della mistica ebraica che, seguendo l'insegnamento di Shabbetay Sevi, praticavano «l'osservanza del precetto tramite la sua trasgressione»[12]. L'abisso, anzi, la lacerazione che così si apre rischia di non essere più richiusa. Rischia di travolgere ogni cosa, inabissando il discorso in un circolo vizioso dove divieti senza vigenza e trasgressioni senza trasgressioni si rincorrono l’uno dietro l'altro. Forse, per spezzare questa morsa, si potrebbe ritornare a Sade...

André Masson, La festa, Parigi, Galerie Louis Leiris.

Klossowski, attento lettore di Sade, ha rintracciato puntualmente lo stesso movimento altalenante di trasgressione e divieto nei comportamenti dei libertini sadiani, per i quali «la perversione [...] trae il proprio valore trasgressivo unicamente dalla permanenza delle norme [...] all'interno di uno spazio composto da ostacoli, vale a dire nel linguaggio logicamente strutturato delle norme e delle istituzioni»[13]. Anche qui abbiamo un crimine che si inscrive all'interno delle norme, anzi, necessita di loro, e grazie a loro acquista valore, diventa desiderabile, uscendo dai ciechi tremori viscerali del piacere. Ora non è più la carne a sentirne la forza, ma è una volontà che si pone alla sua ricerca, ne è attratta e desidera la sua ripetizione. E questa volontà non può che riconoscere e sottostare alla norma, in quanto è solo la norma stessa a decidere dello statuto trasgressivo, a stabilire se quel gesto convulso è un atto che infrange dei divieti, oppure se resta impotente, come l'acqua nell'acqua. Sade, certo, si è espresso con chiarezza su questo punto, nel momento in cui, dovendo decidere tra il crimine, l'infrazione in quanto negatività e male, e uno scatenamento senza altra utilità, sceglie senza esitazione il secondo. Durante il lungo simposio de La filosofia nel boudoir, Sade introduce una digressione sul rapporto tra la messa a morte e la legge, negando ogni giustificazione in merito all'utilizzo della pena capitale:

«La legge, essenzialmente fredda, non saprebbe essere accessibile alle passioni che possono legittimare nell'uomo la crudele azione dell'omicidio; l'uomo riceve dalla natura le impressioni che possono fargli perdonare quell'azione, e la legge, al contrario, sempre in opposizione alla natura e non ricevendo nulla da essa, non può essere autorizzata a permettere gli stessi eccessi»[14].

Quello che Sade non può accettare è che l'eccesso della violenza possa acquisire il proprio valore attraverso la presenza della legge, come nel caso della condanna a morte, e non semplicemente dallo scatenamento delle passioni. Anche Bataille si sofferma su questo punto, considerandolo come l'unico principio fisso di Sade, l'unico che i suoi personaggi ed egli stesso non abbiano mai messo in discussione[15]. Questo perché, dopotutto, è in gioco lo stesso concetto di sacro, costantemente a rischio di risolversi in un qualcosa, in un oggetto.
Bataille, quando ha potuto, ha sempre riconosciuto il merito di Caillois nell'aver studiato a fondo i fenomeni del sacro. Tuttavia, nonostante ogni elogio, nonostante ogni osmosi di pensiero[16], egli ha sempre avuto, a differenza dell'amico, un pensiero costante, ossessivo: che «la nozione di sacro di per sé non può essere in alcun modo considerata riducibile alla ragione»[17], che «ciò che è sacro è inafferrabile. Per afferrarlo, lo metto al servizio di questo da me determinato, facendone una cosa. Lo confondo con questo. Non appena posso subordinare me stesso a... È troppo poco»[18]. Le parole mancano per dire il sacro. Esso sfugge ad ogni discorso[19]. Non ci può essere uno studio sul sacro, non si può porre il sacro come un oggetto da esporre e da sezionare davanti ad una coscienza chiara. «Non ci può essere nulla di sacro. Il sacro non può essere una cosa. Solo l'istante è sacro, l'istante che non è nulla (non è una cosa)»[20]. È in questo scarto, in questa sfasatura e su come possa essere declinato il rapporto tra (non-)sapere e sacro, che si gioca tutto il divario che separa la sovranità impotente di Bataille dall'ortodossia militante di Caillois. Il sacro non è nulla. Proposizione che richiama quella altrettanto celebre, che dice: la sovranità non è nulla. Gli scatenamenti di Sade sono eminentemente sovrani, perché non portano a nulla, perché si annullano nel loro stesso compiersi, nella loro stessa catastrofe. Non vi sono trasgressioni e crimini perpetrati per un qualche scopo; nemmeno la ricerca del piacere può rendere conto, rendere ragione di ciò che accade. «A questo proposito, mi pare che Sade dia l'essenziale quando non ammette nemmeno per un istante che possa intervenire un interesse freddo nei suoi scatenamenti»[21]. Le azioni dei personaggi sadiani sono inutili, non hanno valore di per sé, non conducono ad alcuna meta, ad alcun ricordo. Nemmeno la memoria può restituire loro valore, essendosi il soggetto annientato come l'oggetto. Sono azioni passionali, non razionali:

«L'azione non perfettamente razionale, che si subordina dunque alla passione, è un'azione che non porta a nulla»[22].

Svelata come dispositivo di governo delle forze vitali, la trasgressione sembra così depotenziata, deposta, privata di quel suo fascino malevolo. Finiscono così la sua attrazione e il suo orrore? Forse. Certamente sì, se ci si limita a studiarne i movimenti e i meccanismi. Ma è probabile che non si sia detta ancora l'ultima parola, che la trasgressione possa ancora ritrovare il suo antico fascino, più antico di qualunque divieto, di qualunque permesso. Una trasgressione senza permesso? Una trasgressione costitutiva, anomica? Sarebbe ancora da pensare. Sarebbe una trasgressione forse inapparente, non sospetta, in grado di disattendere ogni divieto, di deporre ogni dialettica del limite nella finzione che è. Nelle pagine de La letteratura e il male dedicate a Sade, Bataille commenta così la presa della Bastiglia:

«Nessun simbolo esprime la festa meglio della demolizione insurrezionale di una prigione: la festa, che può essere tale soltanto se è sovrana, è lo scatenamento per essenza, da cui procede inflessibile la sovranità. Ma senza un elemento casuale, senza capriccio, l'avvenimento non avrebbe la medesima portata»[23].

L'avvenimento imprevisto è naturalmente il grido di Sade, che incita alla ribellione affermando che all'interno della prigione i condannati venivano sgozzati. Un episodio curioso, un capriccio, in grado però di orientare l'intera rivoluzione.

«Ma potremmo dire che una parte di malinteso conferisce alla storia quell'elemento cieco, senza il quale essa sarebbe una semplice risposta al comando della necessità (come succede in una fabbrica)»[24].


Post scriptum

In un racconto breve di Masoch, La zarina nera[25], uno zar concede alla propria schiava un piccola festa, un Saturnale in miniatura. Per un giorno sarà lei a governare, e a decidere del funzionamento del regno, mentre lo zar e gli altri dignitari, rovesciati dal loro rango, dovranno servire le donne del palazzo. L'episodio è sancito da un contratto, a prova di quanto la trasgressione sia compromessa con la legge, che indica esplicitamente i tempi e le scadenze della festa: l'inversione dei ruoli dovrà durare soltanto dal mattino fino al tramonto, termine entro il quale ogni posizione verrà ristabilita, ogni consueta gerarchia riconfermata e il ritorno all'ordine assicurato in tutta la sua potenza. Solo il sovrano ha il potere di concedere la trasgressione, solo lui può dare il via allo stato di eccezione. Ma per una volta il rovesciamento non si trova più soggiogato ai suoi scopi; per una volta, è la passione che si impadronisce della festa. L'ordine non sarà più ristabilito. La schiava, proclamata ironicamente zarina, precipiterà tutto il regno nel caos, portandolo al collasso. Dove un possente meccanismo permetteva di alternare le due facce della medaglia, divieto e trasgressione, senza alcun effetto sulla loro dialettica, ecco che un elemento imprevisto, la mutevolezza di una donna, «la fluidità della differenza femminile»[26], spezza gli ingranaggi e dissolve l'intero dispositivo. Se il confine tra divieti e trasgressione, tra profano e sacro, si dimostra spesso fragile, altrettanto lo è l'intero sistema, costantemente a rischio di rovinarsi al suolo come un castello di carte per colpa delle mani crudeli e impertinenti di un fanciullo. O dei capricci di una donna.

NOTE
[1] M. Taddei, Rituali di rovesciamento, in Ctonia -2, Aprile 2008.
[2] R. Caillois, L’uomo e il sacro, Bollati Boringhieri, Torino, 2001, p. 94.
[3] A. Chalambalakis, Sacralità, rovesciamento e dispendio improduttivo, in Ctonia -2, Aprile 2008.
[4] G. Bataille, La religione surrealista, in Id., Sulla religione, Cronopio, Napoli, 2007, p. 29: «[…]se trascuriamo che ognuno dei loro atti è stato connesso a un interesse materiale non capiamo nulla della vita dei primitivi. [...] i riti che li animano nello scatenamento delle passioni, sono sempre guidati dalla preoccupazione di un interesse materiale. In questione è sempre il bene di una comunità, spesso il bene economico di una comunità».
[5] R. Caillois, La vertigine della guerra, Città Aperta, Troina (En), 2002, p. 132.
[6] Il sacro (questo sacro) è così ben altro rispetto a quel fantastico tanto caro a Caillois, irruzione inammissibile nell'ordine. Se, da una parte, il sacro si manifesta nel suo tempo proprio, e nel luogo che gli è proprio, il fantastico è al contrario qualcosa di irriducibile, qualcosa che, pur non avendo un luogo, malgrado tutto ha luogo. R. Caillois, Nel cuore del fantastico, Abscondita, Milano, 2004.
[7] G. Bataille, Il dispendio, Armando, Roma, 1997, p. 63.
[8] Ivi, p. 56.
[9] M. Foucault, L'uso dei piaceri, Feltrinelli, Milano, 1996.
[10] G. Agamben , Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino, 2003 e Id., Homo Sacer, Einaudi, Torino, 2005.
[11] M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 1993.
[12] G. Scholem, Mistica, utopia e modernità, Marietti, Genova, 1998, p. 102.
[13] P. Klossowski, Sade prossimo mio, ES, Milano 2003, p. 25-26.
[14] D. A. F. de Sade, La filosofia nel boudoir, in Opere, Paolo Caruso, a cura di, Mondadori, Milano, 1976, p. 171.
[15] G. Bataille, Il male nel platonismo e nel sadismo, in Id., Sulla religione, Cronopio, Napoli 2007, p. 8: «Sade giustificava però la condanna della pena di morte con un principio. Per lui, è assolutamente impossibile esercitare a freddo una sanzione che implichi lo scatenamento delle passioni. È inammissibile, inaccettabile, per Sade, che si possa, perché l'ha detto un giudice e perché l'ha indicato la ragione, scatenare la propria passione su un uomo fino al punto di ucciderlo».
[16] A. Laserra, Bataille e Caillois: osmosi e dissenso, in AA.VV., Georges Bataille: il Politico e il Sacro, J. Risset, a cura di, Liguori, Napoli 1987.
[17] Ivi, p. 11.
[18] G. Bataille, I problemi del surrealismo, in Id., Sulla religione, op. cit., p. 120.
[19] L'intera opera di Bataille è attraversata da questo tentativo (fallimentare?) di dire l'impossibile.
[20] Ibidem.
[21] G. Bataille, Il male nel platonismo e nel sadismo, in Id., Sulla religione, op. cit., p. 20.
[22] Ivi, p. 23.
[23] G. Bataille, La letteratura e il male, SE, Milano 1990, p. 98.
[24] Ivi, p. 99.
[25] Leopold von Sacher-Masoch, La zarina nera, in Id., L'amore crudele, SugarCo, Milano, 1990.
[26] G. Solla, Nomi di nomi, Marietti, Genova-Milano, 2006, p. 20.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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BIBLIOTECA CORRELATA
Caillois, Roger, L'uomo e il sacro, Torino, Bollati Boringhieri, 2001.
Solla, Gianluca, Nomi di nomi, Genova-Milano, Marietti, 2006.

Marco Tabacchini - ekeskog@hotmail.it