Alessandro Chalambalakis

Sacralità, rovesciamento e dispendio improduttivo

 

I fisiologi dovrebbero guardarsi dal teorizzare l’istinto
di conservazione come l’istinto cardinale di un essere
organico. Qualcosa di vivente vuole soprattutto scatenare
la sua forza – la vita stessa è volontà di potenza –
l’auto-conservazione è solo una delle conseguenze
indirette e più frequenti di ciò. Insomma, qui come
dappertutto, guardiamoci dai principi teleologici superflui!

F. Nietzsche, Al di là del bene e del male.

 

In questo breve scritto, non pretendo assolutamente di illustrare nella sua completezza concettuale e antropologica il nodo che lega - soprattutto nelle società arcaiche e antiche - la questione del sovvertimento dell’ordine a ciò che cade sotto la categoria di sacro. Tuttavia, alla luce degli argomenti trattati da Marco Taddei in Rituali di rovesciamento[*], un minimo di approfondimento della tematica mi pare necessario e pertinente.
Quell’esperienza totale - o della totalità – che, in opposizione al lavoro, si manifesta tramite l’ebbrezza e che caratterizza il movimento vero e proprio della festa è fondamentalmente caratterizzata da una dinamica violenta. Tale dinamica violenta, di rottura, scaturisce in virtù di quella separazione, comune a tutte le culture, tra la sfera del sacro e la sfera del profano, tra la sfera dello straordinario e quella dell’ordinario. Ciò che ritroviamo comune a tutte le concezioni religiose è il carattere negativo del sacro, il suo definirsi sempre in contrapposizione al profano attraverso un insieme di norme, divieti e interdetti che lo riguardano. Il sacro è ciò che rispetto all’ordinarietà profana del quotidiano è da considerarsi a parte, scisso, separato. L’ambito del sacro è l’ambito dell’interdizione, del proibito, di ciò che normalmente viene rifiutato in quanto caratterizzato da pericolosa agitazione, violenza, abbandono e scatenamento passionale. In questo senso la festa, così come le attività ad essa spesso inerenti quali il teatro, l’arte in genere, il gioco ecc., con lo stratagemma del rito, accede a quella violenza che la norma rifiuta. Il rito è precisamente quello spazio ufficiale nel quale il rivolgimento dell’ordinario a nome dello straordinario può avvenire e in cui è paradossalmente considerato lecito. Il rito autorizza quindi la trasgressione della norma, la rottura dell’interdetto che in periodo profano mantiene viva, a fini conservativi, la separazione tra la vita e il sacro, che protegge insomma la società dai disordini tipicamente legati alla sacralità. La festa, segna quindi l’irruzione violenta del sacro nella vita travolgendo il normale corso degli eventi. Il rito, la festa sono quindi i momenti in cui si accede alla sfera del sacro non solo arrestando il lavoro ma rovesciando tutte le norme che a quest’ultimo sono intrinsecamente legate.
Ovviamente bisogna tener fermo il fatto che ogni cultura organizza, definisce e amministra i propri rituali in modi profondamente eterogenei: modi che identificano diverse tipologie di relazioni con il sacro, diversi insiemi di norme e divieti e, a loro volta, di trasgressioni possibili. Tuttavia, a prescindere dall’asprezza o meno dei tabù e dalle modalità particolari in cui sono vissuti, quello che in ogni società arcaica e antica è evidente è proprio questa dialettica tra sacro e profano[1] che scandisce i ritmi e le oscillazioni del tempo del lavoro e del tempo della festa, che scandisce i momenti della regola e i momenti dell’eccesso: i primi sempre esperibili in un movimento lineare di conservazione, i secondi invece vissuti come capovolgimento dei primi, ovvero come dispendio e violento scatenamento delle passioni.

Tiziano, Bacco e Arianna, 1520-1523,
olio su tela, 175 x 190 cm, Londra, National Gallery.

Attraverso studiosi come Bataille e Caillois, possiamo comprendere come la festa e il rito siano leggibili come capovolgimento proprio in quanto danno vita a forze dilapidanti, distruttive dell’utilità caratterizzante la sfera del lavoro, distruttive dell’accumulo e della conservazione.
Sulla scia del concetto di potlàc[2], appreso tramite l’etnologia di Durkheim e il Saggio sul dono di Marcel Mauss, Bataille elabora la nozione di dépense[3] (dispendio). Nozione attraverso la quale l’autore francese interpreta la festa e il rito come movimenti economici rovesciati, volti cioè alla dilapidazione dei beni, delle energie e, nel caso della messa a morte rituale, alla dilapidazione della vita stessa.
La dépense, questo rovesciamento, questo dispendio improduttivo che si libera nell’orgia, nel banchetto, nel sacrificio, nella danza, nel rito inutile - direbbe Artaud - è precisamente il capovolgimento di tutti quei valori di utilità che ordinariamente, nel tempo profano, asserviscono l’uomo alla durata, alla conservazione e al loro necessario strumento: la prudenza. Ma, contrariamente, il rito, nello spazio del sacro, vive di esuberanza, follie, eccessi: «Esuberanza è bellezza» sono le parole di William Blake che, non a caso, Bataille sceglie per l’esergo de La parte maledetta[4]. Esuberanza, azzardo, rischio, chance, salto, rottura, assenza di calcolo sono infatti i termini mediante i quali l’erotismo della festa e del rito si costituiscono come violazione celebrativa dei valori. A tal proposito Caillois scrive:

«Vengono allora sistematicamente violate tutte le prescrizioni che garantiscono il buon ordinamento naturale e sociale. Queste trasgressioni non cessano tuttavia di essere dei sacrilegi. Attentano a regole che ieri sembravano sante e inviolabili, e che sono destinate a ridiventarle domani»[5].

Inoltre, non è un caso che in Grecia «il dionisismo sia coinciso con la spinta degli elementi rurali contro il patriziato urbano, e che la diffusione dei culti inferi, a spese della religione uranica, sia stata trascinata dalla vittoria degli strati popolari sulle aristocrazie tradizionali»[6]. Il carattere del rovesciamento dell’ordine, del capovolgimento dei valori e delle gerarchie sociali è peculiare del sacro e più precisamente di quel sacro che Caillois definisce sinistro.
I casi rappresentati dalla Festa dell’Asino e dai Saturnalia (così come dagli equivalenti Kronia greci) sono solo alcuni tra i molteplici e significativi esempi del legame tra sacralità e rottura dell’ordine sociale: durante le Sacee babilonesi, parallelamente a quanto avveniva nei Saturnalia e nei Kronia, in ogni famiglia uno schiavo veniva vestito da re e gli si affidava ogni potere di offesa, scherno e rimprovero nei confronti dei padroni; nelle isole Sandwich e nelle isole Figi, la folla, una volta venuta a conoscenza della morte del re, si dedicava minuziosamente all’attuazione di tutte quelle gesta ordinariamente ritenute criminali: saccheggi, uccisioni, prostituzione pubblica, incendi, ecc.. La furia non si placava finché il cadavere del capo non aveva terminato il proprio processo di decomposizione[7]. La pratica del rovesciamento dell’ordine si esprime quindi in un’incredibile varietà di azioni rituali: parodie del potere o della santità, sacrilegi ed eccessi relativi all’alimentazione, incesti e sregolatezze sessuali in genere.
Il caso degli eccessi alimentari esprime tutto il suo legame con il concetto di dépense: durante le attività festive, gli esempi di ingordigia o di dispendio e spreco del cibo sono ben noti a tutti e sono spesso accompagnati da tutto un insieme di urla, mimiche e gestualità aggressive. Scrive Caillois:

«La festa infatti non comporta soltanto orge del consumo alimentare, della bocca e del sesso, ma anche dell’espressione, della parola e del gesto. Grida, beffe, ingiurie, scambi di battute grossolane, oscene e sacrileghe»[8].

Per quanto riguarda l’incesto rituale e la sregolatezza sessuale in genere, Caillois cita l’esempio degli aborigeni Warramunga (presso i quali, nelle cerimonie di iniziazione, l’incesto è consentito) e dei Tonga (secondo i quali l’orgia costituisce il disordine fecondo e rigenerante), cita le Sacee babilonesi e gli Hybristiká greci (appunto da hýbris: eccesso, violenza, attacco all’ordine, eccedere i confini ma anche sfrenatezza, lascivia, lussuria) nei quali lo scambio delle vesti tra uomini e donne aveva la funzione di un capovolgimento sociale dei generi che rappresentava un ritorno all’indistinto, alla con-fusione primigenia e ai miti dell’origine[9].
La funzione di tali violazioni è dunque quella di un ri-approdo rituale ad un era mitica in cui non vigeva alcun tipo di differenziazione, una sorta di spazio sacrale pre-logico e pre-civile. Il significato della festa, e dei rivolgimenti ad essa connaturati, secondo Caillois è dunque quella di ri-generare, di ri-creare il mondo. In sostanza di rinnovarlo tramite un ricorso a forze deflagranti. Il rito si configura quindi come «caos ritrovato»[10], come ri-attualizzazione dei primordi, (nietzscheanamente una sorta di ri-attualizzazione dell’inattuale) e quindi come «sospensione dell’ordine del mondo»[11]. In questo senso, motiva Caillois, le follie e le dissolutezze, sono concesse. «Occorre agire contro le regole» continua, «tutto deve svolgersi al rovescio»[12]. L’incesto, la licentia, la violenza, il disordine e le parodie del potere si costituiscono di fatto come un ri-orientamento al ventre, al magma originario. Età dell’oro e caos, epoche immaginarie alle quali il rito ritorna, sono quei luoghi mitologici che precedono ogni civiltà, ogni istituzione, antecedenti il lavoro e la tipica scansione del tempo ad esso connaturata. Esprimono sia quell’innocenza precedente ogni società ordinata, ogni gerarchia, ogni distinzione territoriale sia quell’esuberanza orgiastica e sanguinante, di parti e uccisioni primordiali[13]. Il fatto che per esempio sia i Kronia che i corrispondenti Saturnalia celebrino un tempo in cui non era Zeus a governare bensì Crono è indice del fatto che si tratta di una volontà di ritorno agli antipodi della civiltà, agli antipodi delle stesse divinità olimpiche, all’origine indifferenziata del tutto, a ciò che in principio era il caos.

NOTE
[1] Nonostante la separazione tra sacro e profano sia indubbiamente presente anche nei monoteismi, in questi ultimi dà tuttavia esito ad un differente approccio alla dialettica divieto-trasgressione la cui analisi merita senz’altro uno studio a parte. In questa sede mi limiterò quindi a fare riferimento alle culture politeistiche.
[2] Il potlàc, termine di origine chinook (Indiani del Nord-Ovest americano) e che significa ‘nutrire’, ‘consumare’, è un’usanza rituale di tipo agonistico estremamente diffusa (Mauss la rintraccia in una grande varietà di popolazioni) per cui i capi tribù si sfidano a doni reciproci. L’essenza del potlàc sta nell’obbligo di dare, di ricambiare e di ricevere. Mauss definisce questa usanza un fenomeno totale in quanto in tutta la sua ritualistica di festa, scambio, banchetto e consumo coinvolge sia aspetti giuridici ed economici che rituali, sciamanici e religiosi. M. Mauss, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, in id., Teoria generale della magia, Torino, Einaudi, 2000.
[3] G. Bataille, La parte maledetta preceduto da La nozione di dépense, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.
[4] Il suo saggio di “economia generale” in merito alla rilevanza sociale del principio della perdita.
[5] R. Caillois, L’uomo e il sacro, Torino, Bollati Boringhieri, 2001, p. 106.
[6] R. Caillois, Le virtù dionisiache, in R. Caillois, Nascita di Lucifero, Milano, Medusa, 2002, p. 53.
[7] Il legame tra violenza rituale, sacralità, morte e rovesciamento è qui evidentissimo: la morte è quel movimento di spreco della vita interno alla vita stessa, interno alla natura medesima. Il periodo di decomposizione, di ritorno della forma all’informe, in cui il cadavere ricorda all’uomo la caducità di ogni pretesa di durata e di individuazione, conduce al rito, all’esplosione sacrale della violenza e dell’erotismo, che si presentano sostanzialmente come ritualizzazioni di quei movimenti della natura (la morte, il contagio, la malattia, la putrefazione) giudicati estremi e pericolosi per la pacifica convivenza degli uomini. Il sacro quindi si prospetta fondamentalmente come esperienza rituale di ciò che la civiltà per definizione reputa inaccettabile: il caos.
[8] R. Caillois, L’uomo e il sacro, op.cit., p. 112.
[9] Non è indifferente, afferma Caillois, che in un’incredibile varietà di culture la coppia originaria (relativa quindi al mito dell’origine e della creazione) sia costituita da fratello e sorella (Nut e Geb in Egitto, Rea e Crono in Grecia, ecc.). Ivi, p. 109.
[10] Ivi p. 103.
[11] Ivi p. 105.
[12] Ivi p. 105-106.
[13] Caos ed età dell’oro, secondo Caillois, «sono come le due facce di una identica realtà immaginaria, quella di un mondo senza regole dal quale sarebbe scaturito il mondo regolato in cui gli uomini vivono adesso». Ivi, p. 97.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Bataille, Georges, La parte maledetta preceduto da La nozione di dépense, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.
Caillois, Roger, L’uomo e il sacro, Torino, Bollati Boringhieri, 2001.
Caillois, Roger, Le virtù dionisiache, in id., Nascita di Lucifero, Milano, Medusa, 2002.
Mauss, Marcel, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, in id., Teoria generale della magia, Torino, Einaudi, 2000.

BIBLIOTECA CORRELATA
Caillois, Roger, L'uomo e il sacro, Torino, Bollati Boringhieri, 2001.

[*] Marco Taddei, Rituali di rovesciamento: l’esempio delle Feste dell’Asino nel Medioevo e dei Saturnalia nella Roma antica, in Ctonia -2, Aprile 2008.

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