Marco
Taddei
Rituali
di rovesciamento:
l’esempio delle Feste dell’Asino nel Medioevo
e dei Saturnalia nella Roma antica
Il
tema della differenza abolita o rovesciata si ritrova nell'accompagnamento
estetico
della festa, nella mescolanza di colori discordanti, nel ricorso al
travestimento, nella
presenza dei pazzi con il loro abbigliamento variopinto e i loro perpetui
vaneggiamenti.
René Girard, La violenza e il sacro.
In
quel Medioevo vomitevole e pieno di pus che solo Bosch è riuscito
a rendere con i suoi rossi infetti e le sue lingue di fuoco che si
alzano all’orizzonte tra le rovine di un mondo abortito c’erano
strane usanze. Tra tutte quelle superstizioni – ecco come le
chiamiamo oggi – una desidero portare all’attenzione del
lettore: la Festa dell’Asino.
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Mulo
itifallico che danza con Sileni,
frammento di un'anfora del pittore di Amasis,
trovata a Samo e scomparsa. |
L’asino,
così amato da contadini e bambini, nasconde qualcosa di smisuratamente
grottesco e infero, e questo ormai lo sappiamo un po’ tutti.
Tutti immaginiamo un sabba come una riunione di streghe che si accoppiano
fameliche con un capro o, in frequenti versioni, con un asino. Per
alcuni cervelli sottili non può sfuggire il fatto che Gesù
entrando a Gerusalemme stava proprio in sella ad un asino, e anche
qui il nostro amico ragliante rappresenta le forze oscure, malefiche,
pagane, viscerali che vengono soggiogate dallo splendore trionfale
e dalla purezza spirituale del Messia. Per rimanere in ambito cristiano,
notiamo la sua presenza anche nel nostro bel diorama natalizio anche
detto presepio. Qui l’asino è affiancato al bue il quale
rappresenta una miriade di cose a seconda del punto di vista da cui
lo guardiate (gli ebrei, l’albus alchemico, le forze
del bene). Così come anche l’asino, che diviene il segno
scodinzolante della negritudine (sempre in senso alchemico), del male
in generale, delle forze innate e triviali che scombussolano anche
il più santo degli uomini. Tra l’altro il mulo itifallico,
non esattamente come simbolo di fertilità ma piuttosto come
simbolo di forza dell’irrefrenabilità della pulsione
sessuale, compare nella pittura vascolare greca, raffigurato accanto
a Dioniso e al suo corteo di Satiri, Menadi e Sileni.
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Menadi
che cavalcano muli attorno a Dioniso,
coppa attica, Berlin, Staatliche Museen, Antikenabteilung. |
Il
nostro ciuco dunque non se la passava bene in quanto a simboli e rimandi
ma questo al contadino dell’alto medioevo poco importava. L’asino
era un utile mezzo per coltivare la terra, sempre ostica, e quindi
un’indispensabile riserva di forza lavoro. Infatti, in un certo
senso l’asino acquisiva anche una certa accezione positiva:
divenne ad esempio il simbolo dell’eremita, dello stoico anacoreta
che da solo si rifugia sulle montagne per trascendere e cercare la
giusta via per entrare in contatto con Dio. Tutta questa mescolanza
di bene e male che rende il somaro terribilmente simile all’uomo
lo pone al centro di uno dei più misteriosi enigmi dei secoli
bui: le Feste dell’Asino.
Capitava che in certi periodi dell’anno un asino venisse portato
all’interno della chiesa. Già questo portar bestie da
soma sa di sacrilegio ma, come se non bastasse, il quadrupede era
trascinato a forza fin sopra l’altare e veniva addirittura abbigliato
come un prete e lo si poneva al centro di una pantomimica messa. Il
prete soggiaceva a tale attività comunitaria e lasciava il
suo spazio davanti all’ostensorio alla bestia che, naturalmente,
dava di matto, ragliando e masticando paramenti sacri e arrivando
anche a defecare su quell’altare talmente sacro che raramente
era accessibile ai semplici fedeli.
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Johann
Heinrich Füssli, Titania accarezza Bottom
con
la
testa d'asino, 1793-94, Kunsthaus. |
Fulcanelli,
nel suo Il mistero delle cattedrali, bizzarro quanto fecondo
tomo di ambigue scoperte, ci indica un passo di Witkowski il quale
non esita a descrivere un bassorilievo che si trova su uno dei capitelli
della navata di Notre-Dame de Strasbourg. In quest’opera appare
una sbilenca processione di animali: alla guida c’è un
porco che porta un’acquasantiera; è seguito dai nostri
cari asini vestiti in abiti sacerdotali e da una congrega di scimmie
referenti simboli cristiani ed infine una bella volpe chiusa in una
gabbia. Proprio la volpe è la protagonista di tale corteo religioso
dato che l’intero schieramento prende il nome di Processione
della Volpe. Tale processione doveva in qualche modo precedere
l’arrivo dell’asino nella chiesa dato che questo appellativo
era riservato anche alla Festa dell’Asino.
Immaginiamo dunque queste magnifiche cattedrali che venivano invase
felicemente da questi raglianti bestioni e come tutti i convogliati
onorino l’assurda bestia trionfante. Non mancavano i fedeli
di rispondere con un ragliante versaccio allo ieratico «Benedicemus»
del prete-asinacato. Ancora di più: alla rituale osservazione
finale «Ite missa est», il volgo sostituiva il solito
«Deo Gratia» con un triplice «Hi-ha!», imitando
proprio l’eloquio del quadrupede. Ma quale la radice di tale
mostruosa usanza della chiesa medioevale? Alcuni, azzardando, parlano
di una festa in ricordo della fuga in Egitto di Maria col piccolo
Gesù. In quell’occasione la santa coppia si salvò
scappando sulla schiena dall’onnipresente asinello da soma.
Il gesto di portare un asino sull’altare dovrebbe dunque celebrare
la riunione del mezzo di trasporto con i suoi santi passeggeri, essendo
la Madonna e il Salvatore già presenti sull’altare. Molto
bizzarro. E fragile soprattutto.
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La
bandiera della madre folle, XV o XVI sec., Dijon. |
Anche
perché i nostri avi medioevali in quanto a feste bislacche
non si fermavano certo qui. C’era una festa detta, a buon motivo,
Festa dei Folli in cui il simbolismo dell’asino ritornava
virulento. L’ambiente in cui si svolgeva tale festività
è sempre una chiesa. I preti, stando al giuoco con pazienza
veramente incrollabile, si mettevano un cappello a punta dotato di
finte orecchie da asino e, in un interessantissimo esempio di esorcismo
della propria asfissiante professione, leggevano durante la messa
una parodia del vangelo scritta probabilmente da loro stessi. Parodia
cruda e sprezzante a dire poco. Il basso clero, la pretaglia insomma,
se ne andava per il centro abitato rilassando i propri costumi castigati
e imitando sfrenatamente le alte sfere del Vaticano, impersonando
vescovi e pontefici che si abbandonavano ai più lassi comportamenti
nelle locande della città. Che scena fenomenale! Questa città
presa a ferro e fuoco dai preti che imitavano i porporati con un cappello
d’asino e una coda posticcia. La descrizione del rituale della
Festa dei Folli ci è stata tramandato da un manoscritto datato
XI secolo. Com’era possibile una permissione simile? Che parodia
della realtà! Che mondo rovesciato!
Tutte queste mie esclamazioni hanno un significato. Non a caso ho
usato il termine mondo rovesciato. L’asino, trasportato fin
sull’altare, è l’espressione estrema di un rovesciamento
della figura del Salvatore. Più tenue, ma pur sempre, diciamo
così, scenograficamente efficiente, è l’altro
rovesciamento, di tipo gerarchico, dei preti che imitano i vescovi
e si danno alla pazza gioia, non a caso assumendo le anticristiche
insegne della ragliante creatura. Questi asini che si mutano in cristi,
questi preti che divengono papi e che, a loro volta, divengono ciuchi
animaleschi e sbavanti discendono dalla medesima meraviglia: il rovesciamento[*].
E
trattando di festività, quando parlo di rovesciamento non posso
fare a meno di accostarmi ai Saturnali: festività tanto care
ai Romani. Tali festeggiamenti furono attivati da Giulio Cesare e in
seguito regolamentati da Domiziano. Si svolgevano tra il 17 e il 23
dicembre, poco prima del nostro Natale dunque. Come dice il nome stesso,
tali festività, erano legate all’immane, mercuriale, compagine
del dio Saturno, ex sovrano degli dei, disinnescato nella mascolinità
e spodestato dal trono divino dal figlio Giove. La festa celebrava il
ritorno di questo sovrano al soglio. Con lui tornavano i tempi ormai
trascorsi e dimenticati che tutti ricordano come l’età
dell’oro. Grande nostalgia? Assolutamente no. Grande eccitazione
e frenesia invece.
Già far tornare in auge un dio spodestato, abbandonato e precipitato,
sovrano di un tempo ormai obliato, seppur anche solo per qualche giorno,
è un atteggiamento che dovrebbe spingere per lo meno ad un’analisi
attenta. Ma aggiungiamo al già detto che, durante questi giorni,
gli abitanti della Roma antica venivano investiti da una carica capovolgente
che portava ad una varietà di discordanti atteggiamenti: gli
schiavi potevano diventare domini e comandare i loro padroni
i quali erano costretti ad ubbidire; potevano così scambiarsi
gli abiti e organizzare grandi banchetti in cui gli schiavi venivano
serviti dai loro signori. Inoltre durante i Saturnalia il gioco d’azzardo,
normalmente condannato, veniva accettato e anzi acquisiva un’esplicita
valenza religiosa e oracolare: Saturno, in questi sette giorni di stato
di grazia, dava infatti la possibilità di conoscere il futuro
delle persone proprio tramite il gioco dei dadi e delle carte. Tale
divinazione ludica era chiamata Giuoco di Saturno.
Veniva altresì eletto casualmente, poiché in tempi arcaici
alla fine dei giochi veniva ucciso, un re della festa (il Saturnalicius
princeps), vestito del divino rosso pagano, il quale faceva il
bello e cattivo tempo. La sua parola era legge scritta e tutti dovevano
portagli rispetto come se fosse lo stesso imperatore. In epoca classica
invece, a festa finita, tutto tornava normale e anche il re buffone
tornava alla normalità a meno che non si fosse macchiato, durante
le festività, di qualche grave crimine o avesse esagerato con
i suoi atteggiamenti regali. In questo caso sarebbe stato punito, incarcerato
o nel peggiore dei casi anche messo a morte dagli stessi signori che
accondiscendenti gli avevano ceduto il potere. E così la tradizione
arcaica tornava in auge seppur su presupposti giurisdizionali. Un altro
dettaglio interessante: i tribunali rimanevano chiusi quasi a suggerire
un'anarchia grandiosa e senza regole.
Certo
che questo rituale di ritorno all’età dell’oro
descritta tramite i tratti dell’assurdo e della sregolatezza risulta
bizzarra almeno quanto la giustificazione religiosa della Festa dell’Asino
che ho indicato sopra. E questo non può che stimolare una certa
perplessità o per lo meno una riflessione: qui siamo davanti
ad una vera e propria grottesca inversione sociale più
che ad un nostalgico/scaramantico sguardo a secoli passati e rilegati
al terreno nebbioso del mito.
Aggiungiamo allora, a questo clima di inversione, l’elemento
della mascherata. Durante i Saturnalia ci sia agghindava e ci si camuffava
in maniera oscura e ambigua. Che durante la notte e, per estensione,
durante la notte annuale ovvero l’inverno - quando l’inattività
dei campi ha la stessa immobilità del corpo durante il sonno
– le maschere rituali ricorressero come mezzo per esorcizzare
i demoni e le paure ad essi legate, è cosa risaputa. I Saturnalia
si svolgevano infatti proprio durante il periodo del solstizio d’inverno
- caro vecchio 21 dicembre - e proprio in inverno si credeva che Saturno
con il riesumato corteo di spettri e dimenticati signori assillasse
i campi coperti dalle gelide brume.
Ma le maschere - come non sospettarlo - nascondono qualcosa di più;
il demoniaco da loro espresso non si riferisce soltanto alla componente
notturna e caotica del mondo naturale o, se vogliamo, esterno
(a Saturno era difatti associato anche Plutone, dio degli inferi) ma
anche al ventre umano stesso, al nostro gorgogliante budellame. Le maschere
vanno intese quindi come esternazione, espressione e caratterizzazione
di grovigli interiori, inferiori e verminosi che ci rendono così
simili alle bestie più laide, come che so? gli asini! Viene naturale
pensare a queste maschere come bestializzazioni di esseri umani, uccelli
dagli occhi rovesciati, cani bavosi, maiali grufolanti, cavalli dal
crine scarmigliato, bestie selvagge che latrano e, sotto tali nascondimenti,
uomini che volontariamente depennano la parola e si affidano al solo
grugnito, al solo raglio, al solo bofonchiare. E qui il capovolgimento
di orizzonti è poderoso. Esseri umani che esternano passioni
demoniche tramite simbolismi animali, padroni che servono i servi e
servi che dominano i padroni e, mille anni dopo, asini che pontificano,
preti che capovolgono le Scritture e fedeli che scherniscono i poteri
del pontefice.
Ed ecco allora che l’inferiore, il recondito ed il nascosto, lo
sregolato terrore del capovolgimento, emerge alla luce chiara del sole
e diviene, per un preciso e regolare lasso di tempo, il giusto, il retto,
il superiore, l’esteriore. I Saturnalia come le Feste dell’Asino
sono da considerarsi antropologicamente come stazzi, cortili, circuiti
appositamente costruiti ed inseriti nel grande ciclo dell’anno
in modo da offrire uno spazio alla trasgressione sacrale, un’alterazione
necessaria, una rottura rituale con l’orizzonte diurno del lavoro,
della regola, dei tabù e della legge medesima. Questo non solo
spiega l’esuberanza rituale e teatrale che, in queste feste, le
classi inferiori, normalmente soggiogate e passive, manifestavano ma
risulta anche estremamente indicativo del legame tra sovvertimento dell’ordine
e sacralità.
RIFERIMENTI
BIBLIOGRAFICI
Fulcanelli, Il mistero delle Cattedrali, Lucarelli
P., a cura di, Roma, Mediterranee, 2006.
Graves, Robert, I miti greci, 1983, Milano, Longanesi, 1983.
Guénon, René, Simboli della scienza sacra, Milano,
Adelphi, 1990.
[*]
In merito al legame tra sacro e rovesciamento:
Alessandro Chalambalakis, Sacralità,
rovesciamento e dispendio improduttivo, in Ctonia -2,
Aprile 2008.
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