Friedrich
L. Des Esseintes
L'origine dei peccati
Ma le posizioni estreme non vengono
scalzate da posizioni moderate, F. Nietzsche, Frammenti postumi, 18 giugno 1887. L'origine della morale cristiana è
da ricercare nelle forme di organizzazione delle prime società
umane, di tipo tribale. Sono consapevole del fatto che l’espressione
“prime società” sia inesatta, se non addirittura errata,
dato che non è possibile stabilire cronologicamente un inizio dell’umano.
Con questo termine intendo tuttavia riferirmi alle civiltà pre-elleniche. Come fa notare René Girard (ispiratore
delle tesi introduttive presentate in questo articolo) la preoccupazione
fondamentale di queste comunità doveva essere la loro sopravvivenza,
la quale non poteva che dipendere dalla limitazione e dal controllo della
violenza.
Ci si chiederà come sia possibile che dei semplici espedienti sociali si siano così radicati nelle culture da essere mantenuti per così tanto tempo e come sia possibile che non si sia mai realizzata una critica radicale di questi. In realtà questi espedienti erano così importanti per la sopravvivenza di quelle comunità che è stato fatto di tutto per poterli affermare e imporre con la maggior forza possibile. Non c'è modo migliore per assicurare il rispetto di norme che destare nei singoli individui un rispetto straordinario per tali norme; presentandole quindi come un qualcosa di inumano, di superiore, di intoccabile, in sintesi, di sacro. Il meccanismo di questo processo culturale deve essersi realizzato in modo fondamentalmente spontaneo: l'individuo sarà portato in modo quasi automatico a sublimare, a trascendentalizzare quei precetti che si dimostreranno straordinariamente benefici per la comunità e questo, a sua volta, porterà ad un sistema culturale fondato su queste norme ma anche totalmente volto a rinforzarle, perpetuarle, sacralizzarle. Ricapitolando: i divieti cristiani costituiscono il “rafforzamento trascendente” di norme con funzione prettamente pratica; rafforzamento che si è radicalizzato nelle culture umane per necessità, per scongiurare il pericolo di un’esplosione della violenza in epoche in cui la giustizia non era istituzionalizzata. Alla luce di questa lettura di stampo
girardiano, passiamo ora ad analizzare i precetti cristiani fondamentali:
i dieci comandamenti. Per comprendere a fondo questo precetto
è necessaria una premessa riguardo al concetto di desiderio. Anche
in questo caso il debito è verso l’antropologo francese.
Tale premessa tende a sfatare il luogo comune moderno per il quale il
desiderio sarebbe dotato di una forma di purezza; come se il desiderio
si ponesse insomma in modo fondamentalmente innato e unico rispetto all’individuo. 2. Non nominare il nome di Dio invano Abbiamo visto come Dio costituisca un “escamotage” per prevenire la violenza, in un meccanismo che si presenta ovviamente fragile, considerando la naturale propensione del singolo a volgere la sua attenzione e la sua bramosia alla dimensione materiale. Viene da sé quindi che il rispetto verso questo Dio debba essere massimo, sacro, che si esiga una devozione incondizionata come difesa del meccanismo stesso; considerando anche la facilità con la quale gli uomini si imitano a vicenda, la bestemmia costituirebbe un pericoloso cattivo esempio che rischia di far crollare tutto il sistema preventivo. 3. Ricordati di santificare le feste Ho deciso di affrontare insieme questi
due comandamenti in quanto presentano lo stesso intento: impongono il
rispetto per quelle istituzioni (rituale e famiglia) che realizzano la
perpetuazione di un sistema di valori, di un insieme di punti di riferimento
culturali che separano in modo chiaro il lecito dal proibito (separazione
che risulta essere fondamentale per il controllo e la limitazione della
violenza). Ciò che viene disposto quindi non è il rispetto
per i genitori e per il rituale in quanto tali, ma in quanto ritenuti
strumenti necessari il cui compito è di fungere da mediatori tra
l’individuo e i valori culturali che, come possiamo ben immaginare,
costituivano l’unico deterrente per i propositi violenti degli individui.
5. Non uccidere Mentre nella nostra epoca un omicidio ha come conseguenza unicamente la condanna del colpevole, nelle società di tipo tribale un delitto poteva portare addirittura ad un dissesto sociale. Questo perché, in mancanza di istituzioni politico-giudiziarie, la comunità era strutturata in base ai gruppi familiari, per i quali l’individuo coltivava un forte senso di appartenenza; ne consegue che un’offesa o un danno nei confronti di un soggetto di una diversa famiglia dava luogo ad un’escalation di rappresaglie che ben presto si rivelava distruttiva per l’intero corpo sociale. L’omicidio inter-familiare doveva essere quindi evitato ad ogni costo dato che probabilmente avrebbe prodotto una vera e propria epidemia di violenza. 6. Non commettere atti impuri Il motivo di tanto accanimento da parte
della dottrina cristiana nei confronti del sesso va ricercato nello stretto
collegamento che sussiste tra questo e la violenza; connessione che doveva
essere molto chiara anche alle antiche società tribali, le quali,
di conseguenza, vedevano il desiderio carnale come qualcosa di molto pericoloso
e quindi di impuro. 7. Non rubare Qui credo che non ci sia bisogno di un’analisi troppo approfondita anche perché il furto è semplicemente il passaggio in atto delle intenzioni, dei propositi espressi negli ultimi due comandamenti, quindi valgono le stesse considerazioni espresse più avanti. 8. Non dire falsa testimonianza In assenza di tribunali, il ruolo degli accusatori viene enormemente amplificato, dato che a fare giustizia è la folla, la quale, come possiamo desumere anche dai racconti mitologici e biblici, è portata ad infliggere la pena non in seguito ad una riflessione ponderata, ma come conseguenza di un pathos collettivo; in pratica, dal momento dell’accusa a quello dell’esecuzione il lasso di tempo è molto breve dato che la comunità non esiterà a punire immediatamente colui che, macchiandosi di un atto proibito, mette in pericolo tutta la collettività. E’ quello che possiamo notare nei fenomeni di linciaggio (come la lapidazione) di cui abbiamo molti esempi nella Bibbia (soprattutto nel Vecchio Testamento) dove per una questione cronologica si è più vicini alle forme religiose e culturali dell’antichità. E’ per questo che viene intimato ai potenziali accusatori di non mentire, dato che una serie di esecuzioni ingiuste darebbe luogo a sentimenti di vendetta e alla nascita di fazioni intra-comunitarie. 9. Non desiderare la donna d’altri Riguardo agli ultimi due comandamenti,
la mentalità moderna (di stampo illuminista) avrebbe da obiettare
che nel semplice desiderare non ci sarebbe niente di male; in realtà
questa considerazione vale solo per la nostra epoca, nella quale il singolo
è protetto dall’istituzione giudiziaria, e quindi l’interesse
ricade totalmente sull’atto (e solo marginalmente sull’intenzione,
la quale è comunque subordinata al primo), dato che in qualsiasi
momento la giustizia (intesa come organo giuridico) può interrompere
l’evolversi di uno scontro tra privati, molto prima che possa costituire
un pericolo per la collettività. In conclusione, c’è da chiedersi
se questa impalcatura morale, profondamente radicata nella nostra cultura
e nella nostra mentalità, abbia ancora senso, considerato che le
sue origini, come abbiamo visto, sono strettamente legate alla necessità
di una organizzazione sociale oramai lontanissima dalla nostra dove la
differenza la fa la presenza o meno della giurisprudenza. BIBLIOTECA CORRELATA Friedrich L. Des Esseintes - info@namenlos.it |