Eloisa Massola Angeli e streghe: creature dell'ou-topia
Stabilire
una connessione di tipo comparativo fra angeli e streghe
potrà sembrare di primo acchito azzardato, specie se ci si limita
a considerare queste figure – appartenenti all’immaginario
collettivo – senza discostarsi dalla tradizione. Angeli e streghe
non sono difatti soltanto messaggeri del divino e ignobili megere che
hanno deciso di stringere un patto col diavolo; bensì anche creature
che affondano le proprie radici in un terreno comune: entrambi, infatti,
compiono un cammino eterno, un percorso ad infinitum di andata
e ritorno, fra il mondo umano e quello (inconcepibile e per questo indefinibile)
che si colloca oltre il velo della conoscenza. L’angelo,
nella sua qualità di messaggero (dal greco aggelos:
messaggero, emissario, nunzio), è
il daimon che collega il mondo umano all’oltre-mondo.
Creatura dalla personalità sfuggente, si identifica in tutto
e per tutto con il messaggio di cui è portatore – e spesso
si tratta di un messaggio di morte. Nei testi sacri (nell’Antico
Testamento più che nel Nuovo), accanto ai custodi (il
cui esempio più fulgido è rappresentato dalla vicenda
di Raffaele che soccorre Tobia), grande parte hanno gli sterminatori:
dai castigatori della città di Sodoma[2] ai guerrieri luminosi
che si presentano a punire[3] Eliodoro, passando per tutti quei nunzi
divini che, pur recando messaggi rassicuranti, tuttavia terrorizzano
gli uomini con la loro apparizione inaspettata[4]. L’angelo del
castigo – della morte – è un vero e proprio monstrum:
creatura extra-ordinaria e terrificante, proviene da quella
dimensione divina, ou-topica, a rigore non afferrabile dalla
razionalità umana. «Dio allora chiamò l’angelo Muriêl, gli parlò della caduta dell’uomo e gli affidò la signoria sull’umanità: “… sei tu, infatti, che l’hai portato (Adamo) a me… Il tuo nome sarà un terrore in bocca a tutti, ti chiameranno Abbaton, angelo della morte. La tua fama e la tua immagine saranno connesse a lamentazioni, a ira e minacce per tutti i viventi fino a quando non avranno reso l’anima…” […]»[5]. Antenate dirette di Abbaton sono tutte quelle creature mitologiche, più o meno mostruose, che già nelle religioni antiche collegavano il mondo dei mortali a quello (infero, prima che superno) degli dèi e che, in quanto tali, erano capaci di produrre cambiamenti drastici nella natura e nell’ordine stabilito: il caos come disgregazione dell’unicum è anticipazione e metafora di morte. Le Erinni, personificazioni del rimorso, della vendetta e del castigo, nate dalle gocce di sangue della castrazione di Urano sono messaggere dell’alterità divina, capaci di cancellare ogni traccia di vita e di diffondere malattia, pestilenza, caos. Così parlano, irate, ad Atena nelle Eumenidi di Eschilo: «Ahi, giovani dèi, / voi avete calpestato le leggi antiche / e dalle mani me le avete strappate! / Ma io, disonorata, infelice, grave / nel mio rancore, in questa terra, ahimé, / veleno, veleno compenso al mio dolore / spremerò dal cuore, stillicidio / che fa sterile il suolo: /quindi una lebbra che ogni foglia dissecca / arida di figli – oh, Giustizia, Giustizia! – / dilagando al suolo, / getterà nel paese / chiazze ammorbanti / distruggitrici di mortali»[6].
Al pari dell’angelo, anche le Erinni sono dunque capaci di disseccare, isterilire, far precipitare l’umanità nella confusione e nel terrore, cancellando i ritmi naturali. Anguicrinite, spaventose, le Erinni sono angeli, se intendiamo indicare con questa parola ogni creatura che funga da trait d’union fra il dio (inteso in primo luogo come ou-topia, spogliato dunque da qualsiasi dottrina teologica) e l’uomo, fra il mistero della morte e la conoscenza (ad esso direttamente collegata) della dimensione altra, dimora di quell’altrimenti in-conoscibile.
Angelici
monstra sono poi le Arpie (dal greco arpàzo:
rapire, strappare, portare via, saccheggiare)
donne-uccello che devastano e insozzano, non a caso collocate da Dante
nella selva dei suicidi, in qualità di castigatrici[7]; le Sirene,
descritte da Omero intente a cantare, con voci melodiose, su una spiaggia
disseminata di ossa e resti umani: lo sterminatore è difatti
un uccello vorace; Ecate, divinità notturna, emblema del lato
femminile più pericoloso e ferino; le Gorgoni (dal greco gorgós:
terribile, feroce, torvo) che dell’angelo
possiedono la capacità di catturare la vita per mezzo dello sguardo[8];
la Sfinge (il cui etimo è incerto: si pensa infatti che l’assonanza
col verbo greco sphiggo - serrare, stringere,
soffocare – sia da scartare in virtù di una probabile
origine egizia del termine), creatura dell’enigma e della seduzione,
giunta dal non-dove a diffondere la malattia. «Quando ancora portavo i capelli lunghi, dovete sapere che da ragazzo facevo la vita, venne a morire il favorito del nostro principale, perdio un gioiello, un cocchino, e pieno di numeri. Nel mentre che dunque la madre, poveretta, lo piangeva e noi, in tanti, eravamo lì per la veglia funebre, d’un tratto le streghe[10] attaccarono a stridere: pareva il cane quando insegue la lepre. C’era allora con noi un Cappadoce, un armadio, un coraggioso mica da poco, e che aveva una bella forza: era capace di sollevare un bue inferocito. Lui, con arditezza, sguaina la spada, si slancia di corsa fuori dalla porta, con la mano sinistra ben protetta dalla fasciatura, e infilza una di quelle, grossomodo a quest’altezza – sia salvo quel che tocco. Noi sentimmo un mugolio ma loro – vi assicuro che sto dicendo la verità – non le vediamo. Allora il nostro gigante, rientrato in casa, si buttò sul letto e aveva dei lividi lungo tutto il corpo, come se avesse preso delle frustate, perché era chiaro che lo aveva toccato una mano stregata».[11] Angeli,
monstra e streghe, dunque, come uccelli rapaci - predatori
notturni - che giungono (inaspettati e per questo ancora più
spaventosi) dalle alte nebulose dell’ou-topia,
dalle dimensioni del caos, agitato dai «cicloni»[12], dove
risiede il divino, per rendere nota all’umanità
– con la loro sola presenza – l’esistenza di una verità
altra. Rivelazione, questa, che spesso s’accompagna all’urgenza
della morte improvvisa e sterminatrice[13]. «Io, che posso animare immagini di cera, / come tu curioso hai visto, e giú dal cielo / strappare con i miei incantesimi la luna, / io, che posso dalle ceneri risuscitare i morti / e stemperare i filtri della passione, credi / che piangerò, se le mie arti su te non hanno effetto?»[15]. Vita, morte, amore, kukloi; Orazio lo ribadisce nel V brano contenuto negli Epodi: per nuocere a nemici e antichi amanti, le strigae possono arrivare a scambiare la terra col cielo: «Filtro più forte ti preparerò, più forte / te lo mescerò, visto che mi odi, / e il cielo sprofonderà nel mare e su questo / si stenderà la terra […]»[16]. Lo
stesso tipo di prodigi viene compiuto dalle streghe della tradizione
contadina successiva all’avvento del cristianesimo e tuttora diffusa
(sebbene stia andando scomparendo) nelle nostre campagne. E se le streghe
moderne sono più riluttanti, sia rispetto a quelle della civiltà
greco-romana che alle vittime perseguitate dall’Inquisizione,
a trasformarsi in uccello o a volare via attraverso la cappa del camino,
è pur vero che ancora si divertono a sovvertire l’ordine
naturale (e sociale) e a creare un grande scompiglio nelle comunità
agricole. «C’era una festa a Murazzano, così mia madre portò noi quattro – i miei due fratelli, mia sorella e me – a vedere i falò. La festa fu molto bella, ma intanto era scesa la notte e mia madre, preoccupata, disse alla sua amica: “Enrichetta, è meglio se andiamo a casa. Viene notte, dobbiamo passare per il bricco e io ho paura delle masche”. Ma l’altra rispose: “Non aver paura, ti accompagno io. Restiamo a vedere i falò”. Così rimanemmo e dopo lo spettacolo prendemmo la via di casa. Non era tanto lontana, appena un quarto d’ora, ma quando arrivammo in cima alla salita, la masca c’era davvero. Mia mamma si mise a urlare: “Guarda là, la masca!”. Noi avevamo paura, e io piangevo: “Uh, la masca, la masca!”, chiamando Silvia, chiamando Enrichetta, perché ero la più piccola fra loro»[18]. E
come l’angelo agisce sull’ambiente circostante (confondendosi
con esso e confondendo l’ambiente stesso, allo scopo di portare
caos e morte), allo stesso modo la strega plasma la natura come se fosse
materia malleabile, strumento per perseguire fini estranei all’ordinario:
quelli della strega stessa, che il più delle volte è in
combutta col demonio, sintesi per eccellenza delle divinità infere
le cui peculiarità sono state dal cristianesimo potenziate ed
esasperate. NOTE RIFERIMENTI
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