Alessandro Chalambalakis Archeologia
di un’esclusione
Michel Foucault - Malattia mentale e psicologia
Il principale avvenimento storico che spinge l’analisi filosofico-antropologica foucaultiana a queste conclusioni in merito all’età classica consiste in quello che lui stesso definisce il grande internamento che a partire dal XVII secolo (e in particolare dal 1656, anno di fondazione dell’Hôpital général a Parigi) ebbe progressivamente luogo in larga parte dell’Europa occidentale.
Nel giro
di pochi mesi, osserva Foucault, un parigino su cento vi si trovò
rinchiuso e questo non solo a dimostrazione di quanto la follia fosse
destinata a una radicale esclusione dalla società e dalla vita
ma anche a dimostrazione dell’arbitrarietà con la quale
l’internamento aveva luogo. Difatti uno degli aspetti più
drammatici e più indicativi dell’esperienza che l’età
classica stava facendo della follia risulta nel fatto che tale pratica
di imprigionamento non riguardava esclusivamente i folli in senso stretto
ma tutto un insieme preciso di persone considerate moralmente non degne
di vivere in società: indigenti, vagabondi, disoccupati, mendicanti,
sifilitici, libertini, dissoluti, corrigendi, ecc.. «Nel suo funzionamento, o nel suo internamento, l’Hôpital général non è legato a nessuna idea medica. Esso è un’istanza dell’ordine monarchico e borghese che si organizza in Francia in questa stessa epoca»[4]. Inoltre
solamente vent’anni dopo la fondazione del primo Hôpital général,
il re emanerà un editto che ne prescrive l’istituzione di
uno per ogni città del regno. Il risultato sarà che, poco
prima dello scoppio della Rivoluzione, in Francia ve ne saranno trentadue.
Spesso, scrive Foucault, a livello di strutture, venivano usati i vecchi
lebbrosari medievali che erano rimasti vuoti dal Rinascimento: l’esclusione
che nel Medioevo era riservata alla lebbra, l’âge classique
la riserva alla follia. In paesi come l’Inghilterra, afferma Foucault,
a partire dal 1670 prenderanno maggiormente piede le workhouses
che alla fine del XVIII secolo saranno centoventisei. L’internamento
diventa una sorta di categoria comune a gran parte dei paesi d’Europa:
Francia, Inghilterra, Olanda, Germania, Italia e Spagna[5]. «L’alternanza è chiara: mano d’opera a buon mercato nei periodi di pieno impiego e di alti salari; e in periodo di disoccupazione riassorbimento degli oziosi e protezione sociale contro le agitazioni e le sommosse»[11]. La follia, dal XVII secolo in avanti, è concepita in relazione ad una disapprovazione etica dell’ozio. L’ozio è visto come forma di disordine, come rivolta e in questa visione non è esente l’idea per la quale ribellarsi al lavoro significa ribellarsi alla punizione che l’uomo ha ricevuto da Dio in seguito al peccato originale. «Se nella follia classica c’è ancora qualcosa che parla di altrove e di qualcosa d’altro, ciò non deriva più dal fatto che il folle viene da un altro mondo, quello dell’insensato, e che ne porta i segni; ma dal fatto che egli oltrepassa da se stesso le frontiere dell’ordine borghese e si aliena al di fuori dei limiti consacrati della sua etica»[12]. Il lavoro imposto all’Hôpital général ha difatti il significato della punizione etica di una colpa, di una rieducazione e di una pedagogia. «L’idea borghese e ben presto repubblicana»[13], secondo la quale anche la buona condotta morale riguarda lo stato, si inserisce quindi, in questa fase storica, attraverso un internamento vissuto come meccanismo sociale, nel contesto della monarchia assoluta[14].
L’altro aspetto in cui è forte l’evidenza del ruolo che la morale borghese ha esercitato nella pratica d’internamento dell’età classica è dato dall’ampia presenza di sifilitici all’Hôpital général. È stato proprio in occasione dell’internamento dei sifilitici che, afferma lo studioso francese, si è consolidato quell’insieme di pratiche in cui cure mediche, punizioni morali e rituali religiosi si intrecciano indiscriminatamente. La volontà era precisamente quella di punire e purificare al contempo. L’idea era precisamente quella secondo la quale per far scomparire la malattia e la possibilità di contagio bisognasse castigare la carne per purificare lo spirito. Questa idea, spiega Foucault, è molto più moderna e meno arcaica di quanto si pensi. Nello stesso ordine di idee entrava il concetto di sodomia, di libertinaggio, di prostituzione, di dissolutezza e di omosessualità che, contrariamente al periodo rinascimentale, l’età classica non tollera più. Foucault è perfettamente consapevole che in ogni civiltà e in ogni epoca storica vi sono stati tabù e regole riguardanti la sessualità ma quello che colpisce del pensiero riflesso dall’internamento dell’età classica è proprio la nettezza del limite con cui la sessualità è divisa dall’incolmabile distanza tra ragione e sragione, tra salute e malattia, tra il normale e il patologico. La stessa psicopatologia e con essa la psicanalisi, afferma Foucault, si svilupperanno a partire dal concetto di sessualità deviata, turbata, patologica. E questo avverrà proprio in virtù dell’accoppiamento tra follia e sessualità turbata che l’età classica aveva compiuto: «Quando l’epoca classica internava tutti coloro che, con la sifilide, l’omosessualità, la dissolutezza, la prodigalità, manifestavano una libertà sessuale che la morale delle epoche precedenti aveva potuto condannare, ma senza mai pensare di assimilarla, da vicino o da lontano, alla follia, essa operava una strana rivoluzione morale: scopriva un comune denominatore di sragione in esperienze che erano rimaste a lungo lontanissime le une dalle altre. Essa riuniva tutto un insieme di condotte condannate, che formavano una specie di alone di colpevolezza intorno alla follia. La psicopatologia non faticherà a ritrovare questa colpevolezza mescolata alla malattia mentale, poiché quell’oscuro lavoro preparatorio, compiutosi lungo tutta l’età classica, le avrà spianato la strada. Tanto e vero che la nostra conoscenza scientifica e medica della follia riposa implicitamente sulla precedente formazione di un’esperienza etica della sragione»[15]. L’internamento classico, scrive Foucault, esprime un’ulteriore associazione tra la follia e una categoria che possiamo definire etico-religiosa in cui non ebbe di certo scarsa rilevanza il ruolo della Controriforma: la profanazione. Bestemmiatori, aspiranti suicidi, indovini, maghi e alchimisti divengono categorie di sragione, di colpa morale e di disordine sociale così come i libertini e gli oziosi. La stessa condanna della pratica magica subisce quindi, nel contesto classico, un processo di secolarizzazione. Essa non è più sacrilega nel senso del Male, essa inganna, illude, commette errori, sbaglia, è fuori dal dominio della verità e deve essere quindi sottoposta a correzione. Il piano della dialettica non è più, come nel Medioevo o nel Rinascimento, tra sacro e profano bensì tra ragione e sragione. Il cambiamento, afferma Foucault, è importante perché indicativo di un’epoca e di una cultura sulla quale si staglieranno la psicopatologia e la psichiatria. «Verrà un giorno in cui la profanazione e tutto il suo gestire tragico avranno soltanto il significato patologico dell’ossessione»[16]. L’internamento ebbe quindi la funziona morale, etica e pedagogica di un richiamo alla verità tramite la coercizione. Nel regno dell’errore e della non-verità, la follia, ampliandosi in sragione, è alleata con colpe quali il prevalere della carne sulla ragione, del disordine sulla ragione, delle false credenze sulla ragione, dell’ozio sulla ragione. La sragione stessa dal XVII secolo in poi è strappata al miracoloso, al tragico e consegnata alla moralità, alla colpa e all’errore. Essa viene percepita sotto il cielo dell’etica, del corretto ordinamento sociale. Entra così nel silenzio dell’internamento e conseguentemente dell’alienazione. Essa perde così la possibilità di un linguaggio e questo suo nuovo statuto aprirà la strada ad una concezione della sragione come oggetto e quindi come oggetto di scienza e di cura. Ma tale cura sarà rivolta all’errore che la sragione rappresenta agli occhi della ragione. La distanza che, originata dall’internamento, permetterà di percepire la follia come oggetto, spiega Foucault, non è liberazione del sapere ma movimento di reclusione: «Non è forse importante per la nostra cultura che la sragione non sia diventata oggetto di conoscenza se non nella misura in cui essa è stata in precedenza oggetto di scomunica?»[17].
Foucault
è quindi particolarmente attento a dimostrare quella vicinanza
tra medicina e moralità sul quale si svilupperà la psichiatria
medesima. La tesi principale che Foucault è volto ad evidenziare
è il come del fraintendimento storico della vera natura della follia
che si è creato proprio in quanto la psichiatria nasce sul terreno
di un internamento che è in primo luogo etico e non medico. L’internamento
dell’età classica si prefigge lo scopo della correzione,
non della cura. E nel concetto di correzione c’è tutto quel
pensiero etico dell’esclusione, della colpa, dell’errore e
della condanna che abbiamo visto nell’assimilazione del libertinaggio,
dell’ozio e della profanazione all’interno della categoria
di sragione. Difatti, spiega Foucault, lo scopo dell’internamento
è molto più vicino al pentimento che alla guarigione. «Si tratta solo, liberando le cronologie e le successioni storiche da ogni prospettiva di «progresso» , restituendo alla storia dell’esperienza un movimento che non prende niente a prestito dalla finalità della conoscenza o dall’ortogenesi del sapere, si tratta di lasciar apparire il disegno e le strutture dell’esperienza della follia come l’ha fatta realmente il classicismo»[20]. Saranno invece la giurisprudenza e il diritto a fornire le basi per la successiva distinzione dei criminali o dei viziosi dai folli. In quanto soggetto di diritto, l’uomo si libera o meno della sua responsabilità e quindi della sua colpevolezza proprio in virtù della sua alienazione mentale. È nel diritto del XVIII secolo quindi, afferma Foucault, che è sorta l’esigenza di un’analisi medica adeguata che distinguesse i malati dai criminali colpevoli e responsabili: «Sotto la pressione del concetto di diritto e nella necessità di delimitare con precisione la personalità giuridica, l’analisi dell’alienazione non cessa di raffinarsi e sembra preannunciare teorie mediche che la seguono da lontano»[21]. Alla
luce della sensibilità che le scienze del diritto hanno espresso
nei confronti della follia, Foucault sostiene come la differenza di sensibilità
nei confronti degli insensati abbia condotto l’età classica
a due differenti modalità di approccio al problema: quella dell’internamento
che abbiamo già visto e quella degli ospedali propriamente detti[22],
la prima mutuata dalla visione sociale mentre la seconda da quella più
in sintonia col diritto e con la filantropia. La coscienza medica, tra
queste due sensibilità, non essendo però autonoma non riuscì
ad emanciparsi se non dopo le conquiste ottenute tramite la giurisprudenza.
Nel mondo dell’internamento, la follia - contrariamente a ciò
che fu la coscienza della follia formatasi nel diritto romano e a partire
dai giuristi del XIII secolo - non è una scusante. Nel mondo dell’internamento,
follia, malvagità, colpa ed errore si intersecano vicendevolmente.
Tanto è vero che, nella pratica di isolamento, demenza simulata
e demenza reale coincidono. «E grazie a questo riattivamento immaginario, più che attraverso un perfezionamento della conoscenza, la sragione si è trovata a confronto col pensiero medico»[26].
Inoltre,
a partire da questo periodo, iniziano a svilupparsi tutto un diverso ordine
di concetti elaborati attorno alla follia. Tale cambiamento è dovuto
soprattutto all’accezione antitetica conferita alla categoria di
natura rispetto alla nascente società industriale. La
follia si separa dal vizio dell’ozio dell’età classica
e inizia a legare con i malesseri della società commerciale quali
l'individualismo, l'egoismo, la competitività e l'invidia. Tissot,
documenta Foucault, associa i disturbi mentali all’eccesso di astrazione
delle scienze e dello studio. In pratica, la civiltà moderna, non
seguendo più i ritmi della natura, minaccia l’equilibrio
mentale dell’essere umano. Le stesse arti e lo stesso immaginario
religioso[27], portando illusioni, minacciano l’uomo di questo pericolo.
La follia diventa la natura abbandonata, l’immediatezza perduta.
L’ambiente sociale (l’anti-fusis)[28] si sostituisce
all’antica alterità rappresentata dall’animalità,
dalla bestialità e si costituisce come causa della follia. La follia
inizia a diventare il rovescio della medaglia del progresso. Quest’ultimo
esaspera le mediazioni aumentando il rischio di alienazione per gli esseri
umani. Il progressivo allontanamento dal passato inizia a costituirsi
quindi come degenerazione e segna l’ingresso della follia nelle
dinamiche propriamente storiche[29]. Legame che tuttavia sparirà
con l’instaurarsi della concezione positivista secondo la quale
la follia si costituisce come puro e a-temporale oggetto di scienza. NOTE [*]Alessandro Chalambalakis, Rinascimento e follia in Michel Foucault, in L'arengo del Viaggiatore n.34, 1/3/2008. Alessandro
Chalambalakis - los@ctonia.com |