Alessandro Chalambalakis

Archeologia di un’esclusione
Storia della follia e limiti del sapere psicologico
in Michel Foucault


La scoperta di ciò che va sotto il nome
di “psicologia” della follia non è altro
che il risultato delle operazioni
con cui la follia era stata investita.

Michel Foucault - Malattia mentale e psicologia



Gli argomenti che Foucault adotta per mostrare la natura dell’esperienza classica[1] della follia sono di varia natura e di tipo interdisciplinare. La sua analisi difatti spazia tra documenti storici, opere mediche, filosofiche, scientifiche, fonti letterarie, delibere amministrative e rapporti di polizia[2]. Secondo Foucault la follia nell’età classica perderà la propria semantica escatologica, sacrale, perderà cioè quelle caratteristiche medievali e rinascimentali che la connotavano come sguardo tragico sulla notte e sull’impossibile e verrà sempre più integrandosi nei movimenti della ragione. Il folle da passeggero per eccellenza (vedi Rinascimento e follia in Michel Foucault)[*] diverrà il prigioniero per eccellenza. Non più navigante bensì internato. La follia verrà zittita e ridotta da significato drammatico a semplice errore da risolvere, vincere, superare. Ciò che verrà meno con l’età classica sarà la possibilità, che invece aveva caratterizzato soprattutto la Reinassance, di un dialogo tra ragione e sragione.

Il principale avvenimento storico che spinge l’analisi filosofico-antropologica foucaultiana a queste conclusioni in merito all’età classica consiste in quello che lui stesso definisce il grande internamento che a partire dal XVII secolo (e in particolare dal 1656, anno di fondazione dell’Hôpital général a Parigi) ebbe progressivamente luogo in larga parte dell’Europa occidentale.

Hieronymus Bosch, La nave dei folli,
1490-1500, Parigi, Musèe du Louvre.

Nel giro di pochi mesi, osserva Foucault, un parigino su cento vi si trovò rinchiuso e questo non solo a dimostrazione di quanto la follia fosse destinata a una radicale esclusione dalla società e dalla vita ma anche a dimostrazione dell’arbitrarietà con la quale l’internamento aveva luogo. Difatti uno degli aspetti più drammatici e più indicativi dell’esperienza che l’età classica stava facendo della follia risulta nel fatto che tale pratica di imprigionamento non riguardava esclusivamente i folli in senso stretto ma tutto un insieme preciso di persone considerate moralmente non degne di vivere in società: indigenti, vagabondi, disoccupati, mendicanti, sifilitici, libertini, dissoluti, corrigendi, ecc..
Il fatto immediatamente chiaro, scrive Foucault, è che l’Hôpital général non è affatto un’istituzione di tipo medico bensì una struttura semi-giuridica, una specie di entità amministrativa il cui compito è di decidere, giudicare ed eseguire[3]. Difatti Foucault afferma:

«Nel suo funzionamento, o nel suo internamento, l’Hôpital général non è legato a nessuna idea medica. Esso è un’istanza dell’ordine monarchico e borghese che si organizza in Francia in questa stessa epoca»[4].

Inoltre solamente vent’anni dopo la fondazione del primo Hôpital général, il re emanerà un editto che ne prescrive l’istituzione di uno per ogni città del regno. Il risultato sarà che, poco prima dello scoppio della Rivoluzione, in Francia ve ne saranno trentadue. Spesso, scrive Foucault, a livello di strutture, venivano usati i vecchi lebbrosari medievali che erano rimasti vuoti dal Rinascimento: l’esclusione che nel Medioevo era riservata alla lebbra, l’âge classique la riserva alla follia. In paesi come l’Inghilterra, afferma Foucault, a partire dal 1670 prenderanno maggiormente piede le workhouses che alla fine del XVIII secolo saranno centoventisei. L’internamento diventa una sorta di categoria comune a gran parte dei paesi d’Europa: Francia, Inghilterra, Olanda, Germania, Italia e Spagna[5].
La pratica dell’internamento sviluppatasi a partire dal XVII secolo, raggruppando indistintamente poveri, libertini, insensati ecc., esprime una modalità di rapporto socio-culturale alla follia che identifica quest’ultima come negatività assoluta la cui ampiezza coinvolge, soprattutto attraverso una precisa concezione morale dell’età classica, tutta una serie di aspetti che sono in sostanza definibili dalla più ampia categoria di sragione. La follia non è considerata tale nel senso specifico della medicina, la follia è considerata come negativo della ragione e quindi come sragione, come antitesi assoluta del pensiero e della morale e quindi delle regole che guidano la società.
Quali sono gli aspetti fondamentali della cultura classica che rivelano come la pratica dell’internamento sia una pratica morale? Foucault li analizza con estrema scrupolosità e si può affermare che i tre principali siano il rapporto che l’età classica intrecciava tra internamento e povertà, tra internamento e morale sessuale e tra internamento e profanazione.
Contrariamente a quanto accadeva nel Medioevo in cui la miseria era inserita in una «dialettica dell’umiliazione e della gloria»[6], Il XVII secolo, osserva l’autore francese, concepirà la povertà come indulgenza verso se stessi e come colpa nei confronti dello stato. Se nel Medioevo la miseria era vista in un’ottica religiosa che la poneva in contatto col sacro, l’âge classique la inquadra invece in una concezione morale che la condanna[7]. Uno dei motivi fondamentali per cui la follia nel XVII secolo subisce una desacralizzazione rispetto alle epoche precedenti è proprio perché la stessa miseria subisce una secolarizzazione. Il folle nel Medioevo era sacro proprio in virtù del suo legame con la miseria[8]. Nel XVII secolo la miseria si viene a spostare invece sul piano della morale e sul piano di quelle forme di inutilità sociale[9] da combattere. Su quello stesso piano in cui il mercantilismo borghese situa l’inutilità e la pericolosità sociale del folle. Foucault inoltre evidenzia la concausa economica dell’internamento dei vagabondi e dei mendicanti citando come, ogni qualvolta si produca una crisi economica, il numero dei mendicanti, dei poveri e dei vagabondi internati aumenti considerevolmente[10]. Tuttavia, quando non vi è crisi, l’imprigionamento è utilizzato per creare mano d’opera a basso costo. Difatti scrive:

«L’alternanza è chiara: mano d’opera a buon mercato nei periodi di pieno impiego e di alti salari; e in periodo di disoccupazione riassorbimento degli oziosi e protezione sociale contro le agitazioni e le sommosse»[11].

La follia, dal XVII secolo in avanti, è concepita in relazione ad una disapprovazione etica dell’ozio. L’ozio è visto come forma di disordine, come rivolta e in questa visione non è esente l’idea per la quale ribellarsi al lavoro significa ribellarsi alla punizione che l’uomo ha ricevuto da Dio in seguito al peccato originale.

«Se nella follia classica c’è ancora qualcosa che parla di altrove e di qualcosa d’altro, ciò non deriva più dal fatto che il folle viene da un altro mondo, quello dell’insensato, e che ne porta i segni; ma dal fatto che egli oltrepassa da se stesso le frontiere dell’ordine borghese e si aliena al di fuori dei limiti consacrati della sua etica»[12].

Il lavoro imposto all’Hôpital général ha difatti il significato della punizione etica di una colpa, di una rieducazione e di una pedagogia. «L’idea borghese e ben presto repubblicana»[13], secondo la quale anche la buona condotta morale riguarda lo stato, si inserisce quindi, in questa fase storica, attraverso un internamento vissuto come meccanismo sociale, nel contesto della monarchia assoluta[14].

Hieronymus Bosch, Estrazione della pietra della follia (particolare), 1480 circa,
Olio su legno, 48 × 35 cm, Madrid, Museo del Prado.

L’altro aspetto in cui è forte l’evidenza del ruolo che la morale borghese ha esercitato nella pratica d’internamento dell’età classica è dato dall’ampia presenza di sifilitici all’Hôpital général. È stato proprio in occasione dell’internamento dei sifilitici che, afferma lo studioso francese, si è consolidato quell’insieme di pratiche in cui cure mediche, punizioni morali e rituali religiosi si intrecciano indiscriminatamente. La volontà era precisamente quella di punire e purificare al contempo. L’idea era precisamente quella secondo la quale per far scomparire la malattia e la possibilità di contagio bisognasse castigare la carne per purificare lo spirito. Questa idea, spiega Foucault, è molto più moderna e meno arcaica di quanto si pensi. Nello stesso ordine di idee entrava il concetto di sodomia, di libertinaggio, di prostituzione, di dissolutezza e di omosessualità che, contrariamente al periodo rinascimentale, l’età classica non tollera più. Foucault è perfettamente consapevole che in ogni civiltà e in ogni epoca storica vi sono stati tabù e regole riguardanti la sessualità ma quello che colpisce del pensiero riflesso dall’internamento dell’età classica è proprio la nettezza del limite con cui la sessualità è divisa dall’incolmabile distanza tra ragione e sragione, tra salute e malattia, tra il normale e il patologico. La stessa psicopatologia e con essa la psicanalisi, afferma Foucault, si svilupperanno a partire dal concetto di sessualità deviata, turbata, patologica. E questo avverrà proprio in virtù dell’accoppiamento tra follia e sessualità turbata che l’età classica aveva compiuto:

«Quando l’epoca classica internava tutti coloro che, con la sifilide, l’omosessualità, la dissolutezza, la prodigalità, manifestavano una libertà sessuale che la morale delle epoche precedenti aveva potuto condannare, ma senza mai pensare di assimilarla, da vicino o da lontano, alla follia, essa operava una strana rivoluzione morale: scopriva un comune denominatore di sragione in esperienze che erano rimaste a lungo lontanissime le une dalle altre. Essa riuniva tutto un insieme di condotte condannate, che formavano una specie di alone di colpevolezza intorno alla follia. La psicopatologia non faticherà a ritrovare questa colpevolezza mescolata alla malattia mentale, poiché quell’oscuro lavoro preparatorio, compiutosi lungo tutta l’età classica, le avrà spianato la strada. Tanto e vero che la nostra conoscenza scientifica e medica della follia riposa implicitamente sulla precedente formazione di un’esperienza etica della sragione»[15].

L’internamento classico, scrive Foucault, esprime un’ulteriore associazione tra la follia e una categoria che possiamo definire etico-religiosa in cui non ebbe di certo scarsa rilevanza il ruolo della Controriforma: la profanazione. Bestemmiatori, aspiranti suicidi, indovini, maghi e alchimisti divengono categorie di sragione, di colpa morale e di disordine sociale così come i libertini e gli oziosi. La stessa condanna della pratica magica subisce quindi, nel contesto classico, un processo di secolarizzazione. Essa non è più sacrilega nel senso del Male, essa inganna, illude, commette errori, sbaglia, è fuori dal dominio della verità e deve essere quindi sottoposta a correzione. Il piano della dialettica non è più, come nel Medioevo o nel Rinascimento, tra sacro e profano bensì tra ragione e sragione. Il cambiamento, afferma Foucault, è importante perché indicativo di un’epoca e di una cultura sulla quale si staglieranno la psicopatologia e la psichiatria.

«Verrà un giorno in cui la profanazione e tutto il suo gestire tragico avranno soltanto il significato patologico dell’ossessione»[16].

L’internamento ebbe quindi la funziona morale, etica e pedagogica di un richiamo alla verità tramite la coercizione. Nel regno dell’errore e della non-verità, la follia, ampliandosi in sragione, è alleata con colpe quali il prevalere della carne sulla ragione, del disordine sulla ragione, delle false credenze sulla ragione, dell’ozio sulla ragione. La sragione stessa dal XVII secolo in poi è strappata al miracoloso, al tragico e consegnata alla moralità, alla colpa e all’errore. Essa viene percepita sotto il cielo dell’etica, del corretto ordinamento sociale. Entra così nel silenzio dell’internamento e conseguentemente dell’alienazione. Essa perde così la possibilità di un linguaggio e questo suo nuovo statuto aprirà la strada ad una concezione della sragione come oggetto e quindi come oggetto di scienza e di cura. Ma tale cura sarà rivolta all’errore che la sragione rappresenta agli occhi della ragione. La distanza che, originata dall’internamento, permetterà di percepire la follia come oggetto, spiega Foucault, non è liberazione del sapere ma movimento di reclusione:

«Non è forse importante per la nostra cultura che la sragione non sia diventata oggetto di conoscenza se non nella misura in cui essa è stata in precedenza oggetto di scomunica?»[17].

Théodore Géricault,
Alienata con la monomania del gioco
,
1822-1823, Olio su tela,
77 × 64,5 cm, Parigi, Musèe du Louvre.

Foucault è quindi particolarmente attento a dimostrare quella vicinanza tra medicina e moralità sul quale si svilupperà la psichiatria medesima. La tesi principale che Foucault è volto ad evidenziare è il come del fraintendimento storico della vera natura della follia che si è creato proprio in quanto la psichiatria nasce sul terreno di un internamento che è in primo luogo etico e non medico. L’internamento dell’età classica si prefigge lo scopo della correzione, non della cura. E nel concetto di correzione c’è tutto quel pensiero etico dell’esclusione, della colpa, dell’errore e della condanna che abbiamo visto nell’assimilazione del libertinaggio, dell’ozio e della profanazione all’interno della categoria di sragione. Difatti, spiega Foucault, lo scopo dell’internamento è molto più vicino al pentimento che alla guarigione.
Ciò che la psichiatria ha ereditato della pratica dell’internamento dell’età classica è il fatto di essere rimasta cieca di fronte a ciò che la follia aveva di positivo da dire[18]. Ciò che ha misconosciuto è precisamente ciò che invece in periodo rinascimentale era riconosciuto e cioè la possibilità di un dialogo tra ragione e follia, la possibilità del darsi di un linguaggio tra le due. Tuttavia questo misconoscimento, afferma Foucault, non deve condurre ad una banale condanna progressista degli errori ma ad una storia della coscienza che ha messo la follia sotto lo stesso tetto del libertinaggio, della profanazione e dell’ozio. Comprenderne quindi il motivo e la natura[19].
È quindi lecito, seguendo Foucault, parlare di un terreno di esperienza morale della follia che il classicismo avrebbe offerto come humus culturale al XIX secolo per l’elaborazione delle teorie psichiatriche e psicopatologiche. In pratica, secondo Foucault, desacralizzazione della sragione e isolamento di essa dal mondo della verità e del linguaggio hanno fortemente contribuito alla nascita delle discipline mediche ad essa connesse.
Se da un lato, l’internamento ha portato ad un’esclusione morale che favorirà la considerazione della follia come oggetto di conoscenza da un altro lato l’internamento indiscriminato di libertini, oziosi, criminali ha condotto ad una indifferenziazione in cui non si possono scorgere le basi del progresso medico. La follia verrà successivamente isolata come malattia mentale ma non è tale separazione a fondare la sua storia bensì è il terreno storico-culturale sotteso all’internamento a fondare l’ulteriore separazione. In altre parole non è la medicina a guidare l’internamento bensì l’etica che ritaglia uno spazio sociale di isolamento dedicato alla follia. Spazio in cui successivamente e non senza implicazioni etiche si svilupperà la psichiatria.

«Si tratta solo, liberando le cronologie e le successioni storiche da ogni prospettiva di «progresso» , restituendo alla storia dell’esperienza un movimento che non prende niente a prestito dalla finalità della conoscenza o dall’ortogenesi del sapere, si tratta di lasciar apparire il disegno e le strutture dell’esperienza della follia come l’ha fatta realmente il classicismo»[20].

Saranno invece la giurisprudenza e il diritto a fornire le basi per la successiva distinzione dei criminali o dei viziosi dai folli. In quanto soggetto di diritto, l’uomo si libera o meno della sua responsabilità e quindi della sua colpevolezza proprio in virtù della sua alienazione mentale. È nel diritto del XVIII secolo quindi, afferma Foucault, che è sorta l’esigenza di un’analisi medica adeguata che distinguesse i malati dai criminali colpevoli e responsabili:

«Sotto la pressione del concetto di diritto e nella necessità di delimitare con precisione la personalità giuridica, l’analisi dell’alienazione non cessa di raffinarsi e sembra preannunciare teorie mediche che la seguono da lontano»[21].

Alla luce della sensibilità che le scienze del diritto hanno espresso nei confronti della follia, Foucault sostiene come la differenza di sensibilità nei confronti degli insensati abbia condotto l’età classica a due differenti modalità di approccio al problema: quella dell’internamento che abbiamo già visto e quella degli ospedali propriamente detti[22], la prima mutuata dalla visione sociale mentre la seconda da quella più in sintonia col diritto e con la filantropia. La coscienza medica, tra queste due sensibilità, non essendo però autonoma non riuscì ad emanciparsi se non dopo le conquiste ottenute tramite la giurisprudenza. Nel mondo dell’internamento, la follia - contrariamente a ciò che fu la coscienza della follia formatasi nel diritto romano e a partire dai giuristi del XIII secolo - non è una scusante. Nel mondo dell’internamento, follia, malvagità, colpa ed errore si intersecano vicendevolmente. Tanto è vero che, nella pratica di isolamento, demenza simulata e demenza reale coincidono.
L’esperienza classica della follia è risultata essere determinante per il successivo nascere della psicologia e questo perché fu la casa di internamento quel luogo, considerato naturale per gli insensati, lo spazio in cui Pinel e la psichiatria incontrarono la follia[23]. La prima coscienza medica della follia, si è sviluppata precisamente sull’eredità lasciata dall’esperienza classica che inquadrava moralmente la follia come sragione, come forma di inutilità sociale da internare e correggere. Quello che l’analisi storico-culturale di Foucault è orientata a mostrare è come la nascita della psichiatria e della psicologia non siano assolutamente iscrivibili in presunto mito del progresso bensì legate ad un terreno culturale dove la politica, l’etica e la religione hanno esercitato un ruolo di capitale importanza soprattutto in merito alle stesse teorie che la psichiatria andava elaborando[24].
Nell’ultimo ventennio circa del XVIII secolo, osserva Foucault, si affaccia nuovamente la paura della follia. Quest’ultima torna ad essere avvertita come una minaccia. La formula che la esprime è di tipo medico, afferma, ma è sospinta da uno sguardo morale[25]. I luoghi di internamento iniziano ad essere percepiti come luoghi putridi in cui l’aria è viziata e, in quanto tale, putrefatta e contagiosa. Questa considerazioni medico-morali, scrive lo studioso francese, assumono tutti quei caratteri che una volta appartenevano alla lebbra. L’arrivo della medicina nelle case di internamento, spiega Foucault, è dovuto precisamente alla paura del contagio, al timore immaginifico che la follia potesse propagarsi e infettare. Scrive Foucault:

«E grazie a questo riattivamento immaginario, più che attraverso un perfezionamento della conoscenza, la sragione si è trovata a confronto col pensiero medico»[26].

Jean-Louis-Théodore Géricault,
Alienata con monomania dell'invidia
,
1822-23, olio su tela, 72 x 58 cm,
Lione, Musèe des Beaux-Arts.

Inoltre, a partire da questo periodo, iniziano a svilupparsi tutto un diverso ordine di concetti elaborati attorno alla follia. Tale cambiamento è dovuto soprattutto all’accezione antitetica conferita alla categoria di natura rispetto alla nascente società industriale. La follia si separa dal vizio dell’ozio dell’età classica e inizia a legare con i malesseri della società commerciale quali l'individualismo, l'egoismo, la competitività e l'invidia. Tissot, documenta Foucault, associa i disturbi mentali all’eccesso di astrazione delle scienze e dello studio. In pratica, la civiltà moderna, non seguendo più i ritmi della natura, minaccia l’equilibrio mentale dell’essere umano. Le stesse arti e lo stesso immaginario religioso[27], portando illusioni, minacciano l’uomo di questo pericolo. La follia diventa la natura abbandonata, l’immediatezza perduta. L’ambiente sociale (l’anti-fusis)[28] si sostituisce all’antica alterità rappresentata dall’animalità, dalla bestialità e si costituisce come causa della follia. La follia inizia a diventare il rovescio della medaglia del progresso. Quest’ultimo esaspera le mediazioni aumentando il rischio di alienazione per gli esseri umani. Il progressivo allontanamento dal passato inizia a costituirsi quindi come degenerazione e segna l’ingresso della follia nelle dinamiche propriamente storiche[29]. Legame che tuttavia sparirà con l’instaurarsi della concezione positivista secondo la quale la follia si costituisce come puro e a-temporale oggetto di scienza.
A questo punto, ciò che avviene nel XIX secolo è quella che Foucault definisce «la nuova separazione»[30]. L’internamento delle forme di sragione va orientandosi sempre più specificamente verso l’internamento esclusivo della follia. L’internamento diviene quindi esclusivamente di tipo medico. La follia, secondo Foucault, acquisisce d’ora in poi un riconoscimento ad essere ascoltata e viene concepita come verità della passione, della violenza e del delitto. Inoltre l’individuo folle diventa necessariamente irresponsabile dei delitti commessi[31]. Tuttavia questi riconoscimenti avvengono in virtù di un’ulteriore separazione, distanziamento ed esilio della follia dalla società. Allontanamenti che, successivamente ai decreti aggiuntivi alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo (1789) emanati tra il 12 e il 16 marzo del 1790, porteranno all’istituzione del manicomio. A cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, scienziati come Pinel, Esquirol, Reil e Tuke si indignano della confusione che l’internamento classico aveva compiuto tra folli e criminali e tra folli e malati; ma tale polemica, afferma Foucault, non è volta contro l’internamento dei folli bensì contro la promiscuità degli internamenti. In sostanza, l’internamento non è contestato ma specializzato[32]. Da un lato quindi, la sragione si dirige sempre più nel terreno oscuro e indifferenziato dell’incanto, mentre la follia tende a isolarsi maggiormente in una riduzione a oggetto di analisi medica.
L’internamento, tramite l’istituzione di un’ulteriore separazione, acquista quindi il significato della cura, della guarigione ma per far questo la follia si sposta dal piano della negatività dell’esistenza dell’età classica al piano della positività di ciò che è conosciuto[33]. La nuova tipologia di internamento strappa la follia alle varie forme della sragione inserendola in una dialettica con la ragione che tramite lo sguardo medico riduce la verità della follia a puro oggetto. Ma questa distanza che chiude inevitabilmente la follia nello spazio interiore di un monologo insensato è precisamente quel limite intrinseco alla psicologia stessa che, afferma Foucault, consiste in quell’impossibilità, ad essa strutturale, di affrontare la totalità e la globalità[34] dell’esperienza umana della follia.

NOTE
[1] Il termine âge classique, nella storiografia francese, definisce il XVII e il XVIII secolo.
[2] S. Catucci, Introduzione a Foucault, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. 4.
[3] M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, Milano, BUR, 2006, p. 55.
[4] Ivi, p. 56.
[5] Ivi, p. 60.
[6] Ivi, p. 63.
[7] Ibidem.
[8] Ivi, p. 67.
[9] Ivi, p. 77.
[10] Ivi, p. 70-71.
[11] Ivi, p. 71.
[12] Ivi, p. 77.
[13] Ivi, p. 79.
[14] Ivi, p. 79.
[15] Ivi, p. 95-96.
[16] Ivi, p 100.
[17] Ivi, p. 107.
[18] Ivi, p. 113.
[19] Ivi, p. 114.
[20] Ivi, p. 126.
[21] Ivi, p. 131.
[22] Ivi, p. 134.
[23] Ivi., p. 54.
[24] Ivi, p. 83.
[25] Ivi, p. 297.
[26] Ivi, p. 300.
[27] Foucault cita gli esempi chiamati in causa nell’Encyclopédie e, per quanto riguarda i mali dell’ambiente sociale, cita il pensiero di Rousseau. Ivi, p. 308-312.
[28] Ivi, p. 32.
[29] Ivi, p. 316.
[30] Ivi, p. 321.
[31] Quello che Foucault chiama il «determinismo irresponsabile». Ivi, p. 391.
[32] Ivi, p. 332-336.
[33] Ivi, p. 375.
[34] M. Foucault, Malattia mentale e psicologia, Milano, Raffaello Cortina, 1997, p. 87.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Catucci, Stefano, Introduzione a Foucault, Roma-Bari, Laterza, 2005.
Foucault, Michel, Malattia mentale e psicologia, Milano, Raffaello Cortina, 1997.
Foucault, Michel, Prefazione alla storia della follia 1961, in Michel Foucault, Archivio Foucault - Interventi, colloqui, interviste, volume I, 1961 - 1970, Milano, Feltrinelli, 1996.
Foucault, Michel, Storia della follia nell’età classica, Milano, BUR, 2006.

BIBLIOTECA CORRELATA
Foucault, Michel, Storia della follia nell'età classica, Milano, Rizzoli, 2006.

[*]Alessandro Chalambalakis, Rinascimento e follia in Michel Foucault, in L'arengo del Viaggiatore n.34, 1/3/2008.

Alessandro Chalambalakis - los@ctonia.com