Michele
Stezio Sanguinetti
La
follia delle Menadi
Antonio aveva appena lasciato la sala lettura, che la inquadrò
subito dietro il bancone, all’ingresso. Puntò verso di lei
come un automa, fissando il suo sorriso. Il momento più bello della
settimana stava per giungere.
L’ora di chiusura della biblioteca era passata già da un
quindicina di minuti, ma Marina era sempre cordiale con tutti gli utenti,
non aveva fretta di buttare fuori nessuno.
– Signor Antonio, buonasera – sorrise verso di lui.
Antonio cercò di togliersi di dosso la solita aria da ebete e provò
a ritornare sulla Terra, ma non poté fare a meno di rimanere ancora
un istante a galleggiare nell’azzurro cielo di quegli occhi che
lo stavano fissando.
– Oh, buonasera – disse con sensibile ritardo.
Marina osservò i tre libri che l’uomo teneva in mano. Lui
glieli allungò meccanicamente.
– Allora, vediamo, “Tre uomini in barca”, “Bartleby
lo scrivano” e “Il Golem e altri racconti”.
Antonio osservò le mani sottili della ragazza tracciare con la
biro i titoli sul registro. Dovevano essere molto delicate e dal tocco
leggero, ma capaci di dare brividi fortissimi, ne era certo.
– Devo farvi i complimenti – esordì timidamente Antonio
– per come avete saputo riportare interesse intorno alla biblioteca.
Negli ultimi tempi c’eravamo sempre solo io e il vecchio bibliotecario,
Alfredo.
Marina sollevò per un attimo lo sguardo, sfoggiando ancora una
volta il suo sorriso solare e innocente.
– Grazie – disse, poi gli occhi tornarono a seguire le parole
che stava scrivendo. – In effetti, subito prima della pensione,
Alfredo era diventato un po’ troppo scorbutico e indisponente. Aveva
allontanato molta gente.
– Come avete avuto l’idea di costituire il vostro gruppo?
– Oh, beh, quando Alfredo è andato in pensione, il Comune
ha pensato di sostituirlo con un gruppo di ragazzi che avessero bisogno
di un lavoretto part–time, ed eccoci qua. Per me ho scelto i pomeriggi
di martedì e sabato.
Antonio non sentì neanche la fine della frase. La sua mente si
era già persa nel mare castano dei capelli della ragazza. Quanto
gli sarebbe piaciuto affogare tra quei flutti.
– Ecco fatto! – Antonio si ritrovò in mano i libri
e davanti a sé un altro splendido sorriso. – Come sa me li
deve restituire entro trenta giorni.
– Penso che ci metterò meno. Credo che per martedì
prossimo li avrò già finiti. Vedrai.
– Oh, so bene che lei è un divoratore di libri – Marina
si guardò intorno. – Bene, lei era l’ultimo per oggi.
Ora posso chiudere.
Antonio osservò rapito quella dolce figura muoversi con agilità
tra i comandi delle luci delle varie sale, spegnere il computer e afferrare
il giubbotto. Ciò che per gli altri era solo una ragazza di vent’anni
graziosa, indaffarata e stanca, che chiudeva l’attività e
la giornata, appariva ai suoi occhi innamorati come una ninfa che danzava
con infinita armonia in mezzo a libri, scatoloni e computer.
Dovette far violenza a se stesso per poter uscire, permettendole di chiudere
la biblioteca. Avrebbe voluto dilatare di più i tempi, per restare
ancora un po’ con lei.
– Marina, se hai bisogno posso accompagnarti a casa. Ho la macchina
qui davanti.
Gli ci volle un coraggio infinito per farle quell’offerta.
– Oh, la ringrazio, lei è molto gentile, ma il mio ragazzo
mi verrà a prendere tra poco – sorrise lei.
Un colpo di clacson da una Golf parcheggiata a un lato della strada fu
il richiamo per Marina. Corse incontro al suo accompagnatore con la leggerezza
di una ragazzina innamorata.
Lo sbattere della portiera e lo stridio delle gomme sull’asfalto
furono la lapide ai sogni di Antonio. Rimase a osservare la vettura allontanarsi
rapidamente, portando via con sé colei che, negli ultimi tempi,
era diventata l’inconsapevole regina del suo mondo.
Appena a casa, Antonio posò i libri sul comodino. Come accadeva
ormai da settimane non li avrebbe letti, li conosceva quasi a memoria;
li avrebbe semplicemente restituiti a Marina il successivo martedì,
in modo da avere una scusa per parlare ancora con lei.
Si guardò allo specchio. Provò disprezzo per ciò
che vide. Che speranza aveva un uomo come lui, piccolo, secco, quasi pelato,
di far innamorare di sé un angelo che aveva la metà dei
suoi anni?
Il silenzio e la solitudine di quella casa furono spezzati da un abbaiare
di cane proveniente dall’esterno. Antonio si affacciò alla
finestra e vide un uomo che portava a spasso un dobermann.
– Bloody, vieni qui! – disse a qualcuno al di fuori della
sua vista.
Subito l’individuo venne raggiunto da uno splendido alano bianco,
sbucato proprio da sotto casa di Antonio.
L’uomo alzò lo sguardo verso la finestra. Per un istante
i due si fissarono, poi quello con i due cani si voltò e riprese
per la sua strada.
Antonio si preparò la cena, guardò un po’ di televisione,
poi si distese a letto, lasciando ancora una volta entrare nei sogni la
sua regina.
La mattina seguente, come ogni giorno negli ultimi vent’anni, Antonio
compì il solito rito vuoto e senza senso: si alzò presto
e in silenzio fece colazione, si lavò, si rase, si vestì
e scese le scale per uscire. Qualcosa, però, interruppe la monotonia
dei gesti: un’occhiata alla cassetta della posta gli fece notare
la presenza di una piccola busta. Molto strano, dato che a quell’ora,
solitamente, il postino non era ancora passato.
Aprì incuriosito, estrasse la piccola missiva e se la rigirò
tra le mani. Sembrava una di quelle buste per i biglietti da visita.
Sul retro stava scritto: “Un aiuto da un amico. M.”.
“M? – pensò Antonio. – Chi può essere?”.
Gli venne per un attimo in mente lo strano tipo con i due cani, ma non
poteva certo essere lui, la porta del palazzo era chiusa, non sarebbe
potuto entrare nell’androne.
Lasciò perdere le sue perplessità e si decise a vedere che
tipo di aiuto il misterioso “M” gli aveva recapitato.
All’interno della busta trovò un cartoncino dell’archivio
della biblioteca, piuttosto vecchio, di quelli contenenti titolo del libro,
autore, anno di pubblicazione e le coordinate per trovarlo tra le venti
sale di lettura che componevano il vecchio edificio.
Lesse: “Amour Ancienne – Jacques Delacroix, 1732; 21, A, IV”.
Significava che il libro era del 1732, ed era custodito nella sala 21,
scaffale A, quarto ripiano.
– Sala ventuno? – si chiese ad alta voce.
Che lui sapesse, e poteva dire di conoscere l’edificio molto bene,
la biblioteca era composta di sole venti sale di lettura.
Mise la busta con il biglietto nella tasca interna della giacca accompagnando
il gesto con un “Mah!” e si recò al suo negozio di
antiquariato.
—
Finalmente
la cliente se ne andò. Era una vecchia mummia, con una lunga pelliccia
e un gusto pessimo per gli oggetti antichi. In men che non si dica i pensieri
di Antonio erano già altrove. Per lui era un’impresa restare
lontano dalla sua regina senza impazzire. Le ore che trascorreva in casa
o al lavoro erano vermi che strisciavano troppo lentamente attraverso
il suo cuore, lasciandogli un dolore che non si spegneva neppure per un
momento.
Rigirò un’ultima volta il cartoncino fra le dita. Ora aveva
una scusa per tornare in biblioteca, prima ancora di riconsegnare i libri.
Erano solo le cinque, ma ad Antonio non importava. Ormai soffocava dietro
quel bancone pieno di cose vecchie, dimenticate come lui.
“Può darsi che Marina abbia fatto un cambio di turno con
gli amici” sperò. Con questa idea chiuse la porta del negozio,
abbassò la saracinesca e si diresse a passo svelto verso la biblioteca.
In pochi minuti raggiunse il vecchio edificio e cominciò a respirare
meglio. Nell’atrio, dietro il bancone, trovò Nicoletta e
un altro ragazzo che non conosceva. Lei era una delle amiche di Marina,
sempre disponibile per quattro chiacchiere. Era anche carina, ma non poteva
assolutamente essere paragonata a lei. La ragazza lo salutò con
un sorriso.
Antonio trattenne una smorfia di dolore appena capì che Marina
non c’era. La immaginò da qualche parte, fuori, a divertirsi
con quel bellimbusto tutto muscoli del suo ragazzo. Il cuore divenne un
macigno che gli spezzò il respiro.
Se ne sarebbe voluto andare, ma dove? In fondo rimanere in biblioteca
era comunque meglio che rinchiudersi in negozio, rintanato fra cumuli
di anticaglie, o girare per casa come un cane.
Strinse il cartoncino che aveva in tasca, almeno avrebbe soddisfatto una
curiosità. Sarebbe rimasto lì, a respirare l’aria
dei libri, gli stessi che, fino a qualche settimana prima, erano stati
l’unico motivo di vita per lui.
Si avvicinò al bancone e pose il biglietto sotto gli occhi della
ragazza, intenta a compilare un modulo.
– Cos’è questo, signor Antonio? — chiese la ragazza
con voce chioccia.
– Non lo so. Credevo che mi potessi aiutare.
Nicoletta esaminò il cartoncino. Aveva dita delicate ma un po’
corte e le unghie risplendevano di uno smalto quasi fosforescente, con
un colore diverso per ogni dito. Decisamente non era il suo tipo. Marina
aveva delle mani molto più aggraziate ed era più sobria
con lo smalto. Lei sì che era perfetta come ragazza.
– Dove l’ha trovato?
– In uno dei libri che ho preso in prestito ieri – mentì
Antonio. – Lì c’è l’indicazione per la
stanza numero ventuno, ma qui ci sono solo venti sale, giusto?
Nicoletta annuì, fissando con i suoi grandi occhi nocciola quel
pezzo di cartone e battendosi sulle labbra una matita.
– Beh, il cartoncino sembra proprio quello della Biblioteca, ma
ci deve essere un errore, perché non c’è nessuna stanza
numero ventuno.
– Beh, non ti dispiace se vado a dare un’occhiata, vero?
– Ma certo, faccia pure – sorrise lei.
Antonio si avviò per il corridoio, con una strana sensazione addosso:
un po’ il desiderio di fare una grande scoperta e un po’ di
paura per essere vittima di una colossale presa in giro.
Entrò nell’ultima stanza che si affacciava alla fine di quel
corridoio. Sulla porta c’era il numero venti. Antonio conosceva
quel luogo, perché diverse volte vi aveva potuto ammirare i testi
più antichi della sua città e qualche rara copia manoscritta
di libri e lettere di grandi autori del passato.
Si diresse allo scaffale A, quarto ripiano, ma vi trovò, sigillata
sotto una teca, una delle prime edizioni del Piacere, con qualche lettera
autografa di d’Annunzio.
“Qui non sembra esserci altro, chissà se la stanza ventuno
del biglietto è davvero in questa biblioteca…”
Dentro di sé la sensazione di una presa in giro orchestrata ad
arte si faceva sempre più strada. Il cuore era una lastra di piombo.
Passò in rassegna gli scaffali come un sergente con la truppa,
nella speranza di trovare qualcosa di insolito, finché i suoi occhi
non scorsero il particolare cercato.
Si avvicinò per guardare meglio.
Con grande sorpresa notò un piccolo spazio vuoto sulla mensola
di uno scaffale, proprio nell’angolo più buio della stanza.
Dietro la superficie di legno s’intravedeva una fessura verticale,
scavata nel muro, come una specie di porta. Rimase senza fiato per un
lungo istante.
– Una porta! – si lasciò sfuggire.
Una nuova energia si impossessò di lui. Non sapeva ancora cosa
volesse dire tutto ciò, ma capì che dietro al biglietto
c’era un disegno ben preciso e decise di seguirlo. Per la prima
volta in vita sua si sentì veramente come il protagonista di un
romanzo avventuroso, e questo gli diede una forza e una tenacia per lui
inaspettate.
Si buttò sullo scaffale e con uno sforzo immane riuscì a
spostarlo quanto bastava per permettergli di entrare nella stanza nascosta.
La stanza ventuno.
La porta era quasi dello stesso colore del muro ammuffito. Lo stipite
era in linea con un montante del mobile, ed era molto difficile poterlo
distinguere. Antonio afferrò deciso la maniglia.
La luce della stanza venti scavò un po’ nel buio che si gonfiava
oltre la porta. Dall’oscurità emersero dei tavoli e degli
scaffali spogli e pieni di polvere. Antonio allungò la mano sulla
parete in cerca di un interruttore.
Un paio di vecchie lampadine sputacchiarono la loro luce smorta intorno,
rivelando un’altra stanza, più piccola della precedente,
anche se dava un’impressione diversa a causa degli scaffali quasi
completamente vuoti. Più che un’altra sezione della biblioteca,
sembrava un’enorme camera dove erano stati lasciati a marcire alcuni
tavoli e ripiani.
“Sembra una specie di grande sgabuzzino – rifletté
Antonio. – Chissà se il buon Alfredo conosceva questa stanza.”
Avanzò all’interno. A lunghi intervalli, sulle mensole, compariva
qualche libro chiuso dietro una busta di nylon. Senza accorgersene si
diresse verso lo scaffale A, mensola 4.
Quando vide il libro, Antonio sentì il cuore sprofondare in qualche
abisso del suo corpo che non sapeva di possedere. Lo prese e si diresse
verso uno dei due tavoli. Lo sfilò delicatamente dalla busta. Era
abbastanza spesso, ben conservato, rilegato con una copertina rossa di
pelle, sulla quale non c’era alcun titolo. Aprì il libro
alla prima pagina. La carta non sembrava neanche troppo consumata dal
tempo.
Lesse poche righe, ma si accorse di non comprendere alcunché: le
sue nozioni di francese erano troppo scarse.
Ormai la curiosità era troppa. Mentre rimetteva il libro nella
sua busta di plastica, Antonio si guardò intorno; come se in quella
stanza deserta e dimenticata qualcuno avesse potuto notarlo.
Nascose il pacchetto sotto il cappotto. Lentamente si avvicinò
alla porta e fece capolino per vedere se qualcuno lo avesse potuto sorprendere
a sbucare da dietro uno scaffale.
In tutti gli anni di frequentazione della biblioteca non aveva mai sottratto
nessun volume, ma stavolta la curiosità di scoprire in cosa consistesse
l’aiuto offerto dal misterioso M, aveva avuto il sopravvento su
tutti i timori reverenziali che provava nei confronti di quel luogo.
Sgusciò fuori dall’angusto spazio tra la porta e lo scaffale,
ritrovandosi nella normalità della stanza venti, poi, con grande
fatica, rimise tutto com’era prima, stando bene attento a non fare
troppo rumore e a non far cadere nulla.
Con il libro ben nascosto si recò verso l’uscita. L’indifferenza
che ostentava avrebbe potuto essere facilmente svelata dal copioso sudore
che gli imperlava la fronte e bagnava la canottiera, sotto la camicia.
Il cuore pompava con la stessa frequenza di un motore fuori giri.
Sfilò davanti al bancone dell’ingresso sfoggiando un sorriso
di circostanza.
Nicoletta alzò la testa e lo notò.
– Allora, Signor Antonio, trovato niente? – disse leggermente
ironica.
– Purtroppo no – rispose con la voce leggermente increspata
dall’agitazione – Probabilmente si trattava di un vecchio
cartoncino di un’altra biblioteca.
– Peccato – sorrise lei – Sarebbe stato bello scoprire
una stanza segreta. Non trova?
– Oh, certo – cercò di simulare indifferenza scrollando
le spalle, ne uscì un gesto goffo e scattoso. – Pazienza.
Sarà per un’altra volta.
Se fosse rimasto lì dentro un solo secondo in più, lo avrebbe
senz’altro fulminato un infarto. Si affrettò a salutare e
sparì rapidamente oltre l’uscio, lasciando Nicoletta e il
ragazzo leggermente attoniti.
—
Antonio
chiuse la porta di casa dietro le spalle e vi si appoggiò contro.
Espirò a lungo, cercando di eliminare tutta la tensione.
Il cuore riprese a battere a ritmi più normali.
Dopo una breve pausa iniziò a rovistare per la casa alla ricerca
di un vecchio dizionario francese–italiano, che sapeva di avere
da qualche parte.
Appena lo ebbe trovato iniziò la lunga e difficile opera di traduzione.
Dopo diverse ore riuscì a decifrare l’introduzione: “Questa
è una piccola e modesta collezione di ricette d’amore, che
ho personalmente raccolto dalle streghe della Loira nel corso degli anni,
perché l’amore può durare per sempre, ma un piccolo
aiuto a farlo iniziare, a volte, può essere necessario.”
Quelle parole emerse dai meandri del diciottesimo secolo lo fecero sbiancare
in volto. Non sapeva come, eppure sembrava proprio che qualcuno fosse
a parte del suo segreto: che sapesse del suo amore per Marina.
Un turbine di emozioni gli spazzò via ogni pensiero razionale dalla
mente. Iniziò a scorrere avidamente le pagine, come se avesse saputo
che da qualche parte avrebbe trovato qualcosa, un segno forse, che l’avrebbe
fatto fermare. Il suo istinto, l’unica cosa che ancora lo guidava,
gli disse che il vero aiuto dell’amico M era dentro il libro, e
non il volume stesso.
Continuò finché non incappò in un insolito segnalibro.
Rabbrividì: era una foto di Marina.
Il respiro gli si bloccò nuovamente, non l’aveva mai vista
in quel modo.
La ragazza era inginocchiata su un letto, con le gambe nude che descrivevano
una sorta di doppia V, con le ginocchia chiuse, ma con i piedi rivolti
verso l’esterno. Indossava solamente una canotta blu scuro e un
paio di mutandine bianche di pizzo, seminascoste dalla posizione delle
gambe. Le mani poggiavano accanto alle ginocchia, sempre delicate, ma
dalla presa solida sulle lenzuola disfatte. Le sue forme apparivano esaltate
ed eccitanti, l’immagine mostrava un corpo ancora più sensuale
di ciò che appariva nella realtà quotidiana.
Ciò che lasciò ancora più esterrefatto Antonio fu
lo sguardo di Marina. Il volto era ripreso di tre quarti; gli occhi, coperti
ma non del tutto dai capelli umidi gettati in avanti, erano caldi e pieni
di desiderio, mentre dalla bocca socchiusa risaltavano le labbra carnose.
Antonio si rese ben presto conto che, seppure il suo respiro si fosse
fermato, qualcos’altro nel suo corpo si era messo in movimento.
“Quanto vorrei che guardasse me in quel modo!”
Voltò la foto e vi trovò una scritta a mano: “Se ti
conosco bene stai già desiderando questo sguardo tutto per te,
vero? Se è questo ciò che vuoi, fai leggere alla ragazza
la formula contenuta in questa pagina e il tuo desiderio diverrà
realtà. M.”
Il cervello di Antonio aveva già da tempo smesso di farsi domande:
lui voleva Marina, e la voleva come nella foto. Bramava conoscerne quell’aspetto,
a lui nascosto e ancora più accattivante di tutti quelli che già
sapeva e amava.
Con l’aiuto del dizionario riuscì ad ottenere una sommaria
traduzione di quella pagina: “Colei che leggerà queste poche
righe accoglierà dentro di sé il sacro ardore delle seguaci
di Dioniso, le Baccanti, o Menadi, che nell’antica Grecia perdevano
ogni freno nella gioia dei loro riti, e vedrà nell’amato
che gliele ha poste innanzi l’unica fonte di passione.”
Le poche righe sottostanti sembravano una poesia in una lingua mista tra
greco e francese medievale. Non riuscì a capire nulla, ma poco
importava.
Gli occhi di Antonio brillarono come quelli di un bambino davanti ad un
negozio di caramelle.
L’eccitazione era tale che non si rese conto che sotto la formula
c’erano ancora alcune righe di descrizione.
Quella notte Antonio non chiuse occhio. Per un attimo, nella sua delirante
veglia, pensò di sperimentare l’efficacia della formula su
qualche altra donna a caso, magari Nicoletta, oppure una cliente, ma poi
decise che solo una persona avrebbe meritato quel privilegio: Marina.
—
Lentamente
arrivò il tanto atteso sabato mattina.
Fu un impaziente Antonio ad accogliere un’assonnata Marina davanti
all’entrata della biblioteca. Erano le otto e mezza in punto, l’ora
di apertura.
– Signor Antonio! – disse lei stupita. – Com’è
mattiniero! Di solito non aspetto mai nessuno prima delle dieci, al sabato.
– Oh, beh… sai… ho pensato di passare un po’ prima,
così ti avrei restituito i libri di martedì e sarei andato
a farmi un giro al mercato… – mentì.
Marina recuperò le chiavi dalla borsetta, aprì, accese le
luci e si diresse verso il bancone, Antonio la seguì. Aveva negli
occhi la stessa luce del precedente mercoledì e nella mente l’immagine
della foto, a cui aveva dedicato parecchio del suo tempo negli ultimi
giorni.
Marina accese il computer e prese il registro dei prestiti. Antonio estrasse
i libri e glieli porse.
– Signor Antonio, lei mi stupisce sempre di più: tre libri
in tre giorni! – disse sorridendo bonaria.
– Sono solo vecchi classici, li conosco quasi a memoria.
Marina alzò gli occhi dal registro e iniziò a guardare assente
in giro per la sala, come se qualcosa stesse attraversando la sua mente.
– Chi è che mi ha raccontato… ah sì! –
due saette azzurre colpirono Antonio, che rimase quasi paralizzato dalla
sorpresa. – Nicoletta mi ha detto che lei l’altro giorno è
venuto qui cercando un libro in una sala che non esiste, vero?
Antonio si sentì smascherato, non sapeva che rispondere. Capì,
però, dal sorriso, che la ragazza non sospettava nulla. Come avrebbe
potuto, d’altronde?
– Eh sì, avevo trovato un biglietto che riportava il titolo
di un libro francese del 1700 o giù di lì…
– È molto strano, non trova?
– In effetti sulle prime avevo pensato ad uno strano scherzo ma…
Antonio si bloccò. Preso dall’entusiasmo stava per rivelarle
il suo segreto. Aveva pensato a tutto un altro modo per far leggere a
Marina la formula, ma le cose stavano procedendo diversamente. Che fare?
– Ma? – incalzò lei. – non mi dica che l’ha
trovato!
Lui decise di buttarsi.
Il cielo dipinto negli occhi della ragazza divenne ancora più grande
e azzurro, quando Antonio, con un sorriso, estrasse dal borsello il piccolo
volume, ancora avvolto nella sua custodia di plastica.
– Ebbene sì – sorrise, godendosi l’espressione
sorpresa di Marina. – Ho trovato la stanza e il libro!
– Sul serio? – disse lei, guardandolo a bocca aperta. –
E perché non ha detto nulla?
– Volevo condividere questo segreto con una persona speciale.
Antonio fu sorpreso dall’ardore che aveva messo in quella frase.
Per un attimo non si riconobbe più; sentiva di poter davvero conquistare
Marina, con o senza formula. Forse l’aiuto del misterioso M consisteva
proprio in quello.
Prima che la ragazza potesse dire qualcosa, lui la invitò.
– Vieni con me, te la faccio vedere.
Antonio fece strada come una guida, mentre Marina lo seguiva con aria
incuriosita. Mai la ragazza avrebbe pensato che in quella Biblioteca potesse
nascondersi una stanza segreta ricca di libri rari e magari misteriosi.
I due entrarono nella stanza venti.
– Ecco, guarda là.
Lei seguì con lo sguardo il braccio di Antonio, ritto nell’aria,
a indicare un punto dietro l’ultimo scaffale.
– Ma che diavolo… – farfugliò Marina. –
Non è possibile!
– La porta!
– Io questa porta non l’ho mai vista, signor Antonio. È
vero che lavoro qui da poco, ma sono sicura che qui non c’era nessuna
porta.
– È molto difficile notarla, ma c’è. E c’è
sempre stata. Chissà però da quanto tempo, e perché,
è stata nascosta dietro a questo scaffale.
– E dentro, la stanza com’è? – Marina sembrava
una bambina affamata di curiosità.
– Dammi una mano a spostare la scaffale e lo scoprirai.
In due fecero molta meno fatica rispetto a quando Antonio la aprì
da solo per la prima volta.
Una volta dentro, Marina girovagò per la stanza semispoglia, osservando
ogni dettaglio con la stessa ammirazione di un visitatore che entri per
la prima volta nella Cappella Sistina.
Antonio, intanto, sistemò il libro su un tavolo. La stanza ventuno
sarebbe stato il luogo ideale per far esplodere nella ragazza tutto l’amore
per lui.
– Marina – disse – tu conosci bene il francese?
– Un po’ – rispose lei distrattamente.
– Sai, negli ultimi giorni mi sono divertito a cercare di tradurre
questo libro, che ho trovato qui. È molto interessante.
Marina si avvicinò a lui, per esaminare le pagine.
– Davvero? Di che cosa parla?
– Leggi tu stessa.
La ragazza lesse a bassa voce l’introduzione.
– Interessante, vero? – le sorrise Antonio.
– Formule d’amore? – lo guardò incredula lei.
– Sì, ma ce n’è una che proprio non sono riuscito
a tradurre. Sarebbe bello provarci. Sai, magari potremmo riscrivere l’intero
testo in italiano. Pensa se riuscissimo a pubblicarlo. Secondo me diventerebbe
un best seller.
L’adorabile sorriso di Marina illuminò nuovamente il volto
di Antonio.
– Magari! – esclamò divertita. – Quale ha detto
che è la formula?
– Questa.
Antonio recuperò la pagina con la formula delle Baccanti, da cui
aveva prudentemente tolto il segnalibro.
– Dunque, vediamo se riesco a capire che c’è scritto.
Mentre leggeva le righe iniziali della pagina, il tono della ragazza si
faceva sempre più divertito, smorzando di quando in quando delle
risatine.
– È tutto così sciocco! – esclamò lei.
All’improvviso Antonio ebbe l’atroce dubbio che la formula
potesse non funzionare, che fosse solo una banale sequenza di parole incomprensibili
messe in fila per ingannare i creduloni francesi del Settecento. E un
italiano del ventunesimo secolo.
Si rimproverò che quella avrebbe dovuto essere la prima cosa da
pensare, invece di lasciarsi incantare da una bella foto e dalle parole
di un anonimo pervertito. Abbassò il capo, arrivando ad appoggiare
la testa sul tavolo, vergognandosi della sua stupidità.
Rimase ad ascoltare quel flusso di parole, per lui incomprensibili, a
capo chino sullo strato di polvere che copriva il tavolo. Quasi non si
accorse che, mentre procedeva nella lettura della formula, Marina perdeva
il suo tono allegro. Dapprima avvertì la risata abbassarsi e farsi
seria, come se non ci fosse più nulla di divertente in quelle parole.
Poi la voce s’incrinò, come se la ragazza facesse fatica
a prendere fiato. Le ultime parole furono quasi sussurrate e smorzate
da un piccolo grido.
Quando Antonio sentì il libro cadere per terra aveva già
avvertito che c’era qualcosa di diverso nell’aria. Alzò
lo sguardo e incontrò Marina in piedi, dall’altra parte del
tavolo, con la bocca semisocchiusa e gli occhi stretti a fissarlo.
– Marina, c’è qualcosa che non va? – non poteva
crederci: ciò che aveva davanti era lo stesso sguardo della foto.
Antonio si ritrovò ad arrossire senza sapere perché. Anzi,
in realtà lo sapeva, ma non ci voleva credere. Mai come in quel
momento una donna gli aveva fatto tanta paura. Marina sembrava un lupo
che stesse puntando la preda, ma dalla sua bocca uscivano sospiri, simili
a quelli che lui guardava a tarda notte in TV; gli occhi stavano correndo
su e giù per il corpo di Antonio. Lui non ebbe il coraggio di dire
niente.
Marina aggirò il tavolo quasi con un balzo, in un istante si liberò
dei vestiti. Antonio vide volare qualche bottone: la ragazza aveva quasi
strappato la camicetta. Un momento dopo lui era a terra, con la schiena
che gli doleva, premuta contro la sedia. Sentì altri strappi e
si ritrovò a petto nudo. Marina aveva cominciato a massaggiargli
il torace avvizzito e poi giù, sulle curve della sua pancia sgraziata.
L’impeto della ragazza lo aveva spiazzato, svuotato come una sacca
rovesciata.
– Marina, cosa fai?
La sua domanda fu mozzata da un urlo. La ragazza stava affondando le unghie
nella sua pelle. La sentiva ansimare, quasi come una belva. Con un gesto
rapido Marina gli sfilò la cintura, gli aprì la zip e lo
liberò dei pantaloni.
– Marina… Oh Marina…
Le mani della ragazza erano già scivolate sotto gli slip. Antonio
chiuse gli occhi, provando i brividi che aveva fino a quel momento solo
immaginato.
Le labbra di lei iniziarono ad assaggiare il suo volto, poi si fermarono
sulla sua bocca, come se avesse trovato una fonte a cui abbeverarsi.
Antonio sentì la lingua della ragazza scivolargli dentro e fu travolto
da una violentissima vampata di calore. I suoi sogni si stavano avverando.
Marina si sollevò ansimante, fissando Antonio con uno sguardo inequivocabile.
– Ti voglio – sospirò guardandolo famelica. –
Adesso!
Quelle parole fecero perdere ad Antonio ogni freno inibitorio. Tutto ciò
che aveva desiderato da una donna, non solo lei, si stava avverando in
quell’istante.
I pantaloni di entrambi volarono via come inutili orpelli e un istante
dopo il sesso di lui scivolò dentro il corpo caldo della ragazza,
come se fosse stata la sua sede naturale.
Quella fu la precisa sensazione che Antonio ebbe: il corpo di Marina sembrava
fatto apposta per accoglierlo dentro di sé e soddisfare tutti i
suoi desideri.
L’uomo osservava la ragazza mentre lo cavalcava, come se lui fosse
stato allo stesso tempo protagonista e spettatore.
La vide strizzare gli occhi e gemere, poi sbarrarli e sospirare a bocca
spalancata. La guardò alzarsi e gettare la testa indietro, poi
abbassarla, facendo scivolare i lunghi capelli castani sul davanti. Ammirò
il suo sguardo caldo, eccitato e famelico. Nei suoi occhi lesse le parole:
“Voglio di più!”.
Lei gli afferrò le braccia, immobilizzandole, e si gettò
in avanti, sulla sua bocca, come per respirare l’aria che lui emetteva.
Gli baciò il mento, poi scese verso il basso.
Quando Marina si alzò nuovamente Antonio si rese conto che qualcosa
era cambiato: la bocca della ragazza era sporca di sangue.
Poi arrivò il dolore. Infine il terrore.
Sentì un liquido caldo defluire copiosamente dalla sua gola, voleva
urlare, ma si rese conto di non riuscire neanche più a far uscire
aria dai polmoni. Nella sua trachea c’era solo sangue.
La vista cominciò ad annebbiarsi. Antonio riuscì a distinguere
a fatica un getto rosso che schizzava contro una gamba del tavolo vicino,
a ritmo con il suo cuore. La figura di Marina andava e veniva, però
udiva ancora con chiarezza le sue risate.
– Antonio, mi piaci da impazzire! – le sue parole erano un
assurdo misto di scherno ed eccitazione. – Averti dentro per pochi
minuti non mi basta!
Si gettò sui fiotti di sangue e ne bevve come da una fontanella.
Antonio si sentiva svuotare, ma ancora non aveva idea di cosa stesse succedendo.
– Sai cosa mi piace di voi sfigati, ansiosi di portarmi a letto?
– disse Marina, sollevandosi e lasciando il sangue gocciolare dalla
bocca sui seni – Che vi gettate su quella inutile formula, senza
pensare che l’ebbrezza dionisiaca portava le Menadi a sbranare i
propri amanti, come sta scritto nelle note a fondo pagina.
Avvicinò il proprio volto a quello di Antonio, fissandolo negli
occhi ormai vitrei.
– Comunque sappi che a me, con o senza formula, piaci lo stesso.
Hai un buon sapore.
Antonio sentì dei rumori di zampe e respiri di cane nella stanza.
– C’è cascato il vecchio porco?
Era una voce cavernosa, quella che provenne da dietro la porta. Antonio
non distingueva quasi più niente. Le immagini erano solo linee
lontane.
– Sì, ha abboccato al volo.
– Grazie, Marina, sei un angelo – rispose la voce. –
E anche questa volta ci divertiremo, vero ragazzi?
Nella sua retina s’impresse per sempre il sorriso dolce e perverso
di Marina. Distinse le sue ultime parole, destinate a lui, come una canzone
che sta sfumando nel silenzio: – Non appena sarai crepato io, Bloody
e By–Tor finiremo la nostra colazione. Non hai idea di quanto questo
ecciti il mio amato Mi…
Stefano Valbonesi - s_valbonesi@virgilio.it
Fabrizio Vercelli - by_tor75@yahoo.it
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