Alessandro Chalambalakis Nascita
dell’uomo e nascita dell’arte
L’umanesimo
di Bataille è paradossale: il suo punto di riferimento è
la forma più primitiva e più arcaica di esistenza, a cui
attribuisce la scoperta del negativo e della trasgressione. Alla filosofia
della storia egli sostituisce così una filosofia dell’origine:
mentre in Hegel il negativo è il motore del processo storico,
in Bataille esso è l’esperienza dell’origine dell’umanità.
Ciò che un’analisi del pensiero di Georges Bataille non può assolutamente permettersi di trascurare è la questione fondamentale e primaria del passaggio dall’animale all’uomo e la sua tematizzazione all’interno di un’attenzione che potremmo definire estetico-antropologica; ovvero a partire dalla connessione tra nascita dell’arte e «nascita dell’uomo stesso»[1]. Tale connessione, in Bataille, si stabilisce in virtù della coscienza della morte come causa principale del manifestarsi, dapprima nell’Homo faber, dei divieti a quest’ultima relativi e poi, nell’Homo sapiens, di una molteplicità di divieti - relativi alla morte, alla riproduzione e generalmente alla violenza - alternati a spazi, attività o periodi di festa e di trasgressione. Nascita dell’arte, passaggio dall’animale all’uomo e comparsa del sacro e, come vedremo, dell’erotismo nell’uomo preistorico sono dunque in Bataille profondamente legati[2]. Paradigma originario di questa relazione sono, per Bataille, le pitture e le incisioni rupestri del Paleolitico superiore o Leptolitico; in particolare quelle presenti nelle grotte di Lascaux che costituiscono per lo studioso francese «la prima testimonianza sensibile che ci sia pervenuta dell’uomo e dell’arte»[3]. La grotta di Lascaux si situa secondo Bataille «all’inizio dell’umanità compiuta»[4]; essa rappresenta l’«aurora della specie umana»[5], istituisce uno spazio enigmatico e un momento decisivo in cui è giocata l’«importanza universale che l’opera d’arte riveste per l’umanità intera»[6] in quanto «intimamente legata alla formazione dell’umanità»[7] stessa: «Storicamente, l’autentica nascita dell’arte, l’epoca in cui essa aveva assunto il significato della fioritura miracolosa dell’essere umano, sembrava risalire ad un’età più recente. Si parlava del miracolo greco, ed era a partire dalla Grecia antica che l’uomo veniva considerato appieno un nostro simile. Ho voluto sottolineare invece che il momento storico più esattamente miracoloso, il momento decisivo, doveva essere collocato molto prima. Ciò che distinse l’uomo dalla bestia ha in effetti assunto per noi la forma spettacolare di un miracolo; tanto che non dovremmo più parlare del miracolo greco ma del miracolo di Lascaux»[8].
È vero, scrive Bataille, che è l’Homo neanderthalensis[9], comparso nel Paleolitico inferiore - periodo di gran lunga precedente a Lascaux -, la prima creatura che ha meritato il nome di ‘uomo’. Egli difatti conosceva ampiamente la lavorazione della pietra al fine di ricavarne utensili e, afferma Bataille, a differenza dei precedenti antropoidi, aveva coscienza della morte. Ne sono difatti prova le sepolture che ci ha lasciato. Tuttavia tale uomo, oltre a essere caratterizzato da notevoli differenze strutturali rispetto al sapiens, possedeva un linguaggio estremamente limitato, probabilmente in fase embrionale e, ciò che più interessa Bataille, non sembra aver lasciato traccia di rappresentazioni riconducibili a una sua ipotetica attività espressiva. L’importanza della nascita dell’arte spinge Bataille a porre la questione in questi termini: «In poche parole, l’uomo di Lascaux è colui che l’antropologia definisce, in opposizione all’uomo di Neanderthal e ad altri ominidi, sotto il nome di Homo sapiens. La questione da chiarire ora è se la data di nascita dell’Homo sapiens coincida o meno con la nascita dell’arte […]. D’altro canto sembra ormai assodato che l’Homo sapiens non possa essere un discendente dell’uomo di Neanderthal. È logico quindi pensare che sia esistita una specie del tutto diversa, che ha lasciato poche tracce, la quale poi si sarebbe sviluppata improvvisamente all’inizio del Paleolitico superiore, sia nel senso del compimento della specie, sia in quello della proliferazione: questo sviluppo sarebbe legato alla nascita dell’arte […]. Cominciano così a delinearsi le ragioni per cui dobbiamo attribuire a Lascaux il valore di un inizio»[10]. L’uomo di Lascaux, l’uomo aurignaziano - che giunge a una posizione completamente eretta e i cui tratti del volto e la struttura scheletrica divengono analoghe alla nostra - è dunque colui in cui si riscontra per la prima volta l’«attitudine a creare opere d’arte»[11], l’attitudine al gioco che volge gli strumenti, gli utensili, le conoscenze e il linguaggio - nati dapprima sotto il segno del lavoro - all’attività estetica libera, disinteressata, priva di finalità utili nel senso specifico della conservazione e della sopravvivenza. Bataille legge il passaggio dall’Homo faber all’Homo sapiens come il passaggio dal mondo del lavoro al mondo del gioco[12] o meglio, più precisamente, come passaggio da un mondo solamente del lavoro a un mondo dove lavoro e gioco coesistono alternandosi[13]. L’arte, il gioco, l’attività libera si trovano immediatamente, nell’antropologia batailleana, in una situazione paradossale che ha - nella totalità degli scritti del pensatore francese – un ruolo decisivo: «La nascita dell’arte deve essere relazionata certamente all’esistenza del lavoro che l’ha preceduta. Non solo l’arte presuppone il possesso di utensili e l’abilità acquisita fabbricandoli o maneggiandoli, ma essa ha, in rapporto all’attività utile, il valore di un’opposizione: è una protesta contro un mondo che esisteva già ma senza il quale la protesta non avrebbe potuto prendere corpo»[14]. Si delineano già i grandi temi, le grandi contrapposizioni e la situazione paradossale in cui si trova l’essere umano nel pensiero batailleano. L’umanità si compie e si completa nell’attività libera, nell’attività estetica, nel gioco. Attività che ovviamente presuppone il lavoro e che ad esso la subordina nel senso delle conoscenze e degli strumenti in esso acquisiti ma che, nel suo movimento intimo, lo contesta. L’uomo è sì, marxianamente, in Bataille, originato dalla propria attività utile, razionale, pronta a piegare la natura in vista della conservazione[15] ma ciò che lo completa nel suo sguardo di uomo, nella sua sensibilità e quindi nella sua umanità stessa è il volgersi verso l’abisso della trasgressione rappresentato dall’arte e dal gioco, è il paradossale rovesciamento che egli attua della sua condizione subordinata e la cui attuabilità è originata dalla subordinazione stessa. Il pensiero dell’uomo nasce, cresce e si sviluppa nel lavoro[16] e secondo Bataille situa necessariamente l’uomo in una prospettiva teleologica - prospettiva proprio per questo profondamente distinta da quella animale – di subordinazione del presente in vista di un futuro nel quale il lavoro, una volta costruito l’oggetto, sarà terminato e dal quale l’uomo trarrà i propri utili benefici. Questa attività, secondo Bataille, conduce l’essere umano a un’astrazione e a un distanziamento da quel sensibile e da quell’immediato non subordinato al telos che l’uomo ritrova solo quando volge le conoscenze[17], i linguaggi e gli strumenti – acquisiti tramite e nel lavoro - a quell’attività libera e giocosa che è l’attività estetica, l’opera d’arte. Quindi se in Marx il lavoro fonda l’uomo nella sua volontà di emanciparsi, in Bataille il lavoro fonda l’uomo nella sua necessità di subordinarsi in vista della durata, della sopravvivenza e della conservazione. Ma solo nella trasgressione egli si completa assecondando il suo desiderio di libertà.
Il superamento erotico dei divieti: l’arte, il gioco, il rito Agli
occhi di Bataille, le figure animali che si susseguono sulle pareti della
grotta sono il segno, la rappresentazione di una visione dell’animalità
destinata a noi[18], la testimonianza di un cambiamento di sguardo
verso il regno animale che avviene nel prodursi dell’umanità,
nel passaggio dall’animale all’uomo. Mai, secondo l’autore
francese, prima di Lascaux si espressero in una traccia ambiziosa di durata
i «riflessi della vita interiore di cui l’arte – e solo
l’arte – sa farsi messaggera»[19]. «[…] questa visione dell’animalità è umana nella misura in cui la vita che rappresenta è in essa trasfigurata, ed è pertanto bella e, per questa ragione, sovrana, aldilà di ogni miseria immaginabile»[20]. Nelle pitture in questione, secondo Bataille, la stessa figura umana passa in secondo piano rispetto all’eleganza delle raffigurazioni animali dalle quali si estrinseca quella che Papparo, riferendosi allo studioso francese, denomina «idea sublime dell’animale»[21], «animalità poetica»[22]. Riferendosi in particolar modo all’enigmatica scena del pozzo[23] Bataille scrive che l’uomo di Lascaux ha infatti raramente raffigurato se stesso e quando lo ha fatto lo ha fatto dissimulandosi e nascondendosi «sotto i tratti di qualche animale di cui portava sul volto la maschera»[24]. La scena del pozzo è precisamente per Bataille il principale documento testimoniante la connessione tra divieti relativi alla morte e divieti relativi alla sessualità nel Paleolitico superiore. Età indicata come il periodo in cui verosimilmente sorsero «quei regimi di trasgressione che noi conosciamo sia dai costumi dei popoli arcaici sia dai documenti dell’antichità»[25]. Tale indizio è difatti dato nella trasgressione, sia in quanto espressa nella libera attività estetica lontana dall’attività di sussistenza che per il suo contenuto che testimonia del legame tra arte e sacro. Infatti la pittura rupestre in questione raffigura secondo Bataille un’espiazione rituale, un dramma[26]; il nocciolo della tragedia uomo-natura e dell’origine animale[27], violenta ed erotica del sacro. Ciò che, della scena del pozzo, ammalia letteralmente lo sguardo batailleano è il fatto che innanzi alla morte del bisonte l’uomo sia instabile, probabilmente morto, «in ogni caso riverso»[28] e - cosa degna di enorme interesse per il pensatore francese - col sesso eretto. Tale rappresentazione, descritta da Bataille come un enigma, è dunque documento della presenza dell’erotismo innanzi all’animalità[29], alla morte e al sacrificio.
Un’interpretazione esclusivamente magico-utilitaristica delle pitture parietali di Lascaux è infatti da Bataille scartata in nome di una lettura religioso-espiatoria. Bataille non nega che sia l’arte che il rito possano rispondere anche a esigenze utilitarie, di intenzione magica nel senso di un calcolo interessato, ma il punto è che la restrizione del loro significato a tali esigenze a Bataille sembra riduttiva ed errata sia per la presenza nelle pitture di animali immaginari come l’unicorno che per la complessità culturale alla quale l’arte e il rito sono storicamente legate. Secondo lo scrittore francese, gli studiosi di preistoria non sottolineano dovutamente quell’elemento di libero gioco, di libera creazione, connesso alla festa, che sembra invece così chiaramente aver caratterizzato questi primi pittori di «immagini in qualche modo divine»[30]. Tali studiosi dunque attribuiscono un valore eccessivo, secondo il parere batailleano, all’elemento «tipico della magia simpatica»[31] per il quale si rappresenta artisticamente ciò che si vuole ottenere. Bataille però precisa che: «Non bisogna credere però che questa volontà d’azione efficace sia l’unica spiegazione di questi dipinti. Dobbiamo ammettere infatti che il fine di ottenere un preciso risultato non è mai l’unico previsto come scopo di un’operazione rituale: le intenzioni di chi lo esegue abbracciano la realtà intera, religiosa e sensibile (estetica). Il rito implica ovunque ciò che da sempre è stato oggetto dell’arte: la creazione di una realtà sensibile, che modifichi il mondo offrendo risposta al desiderio di prodigio, di meraviglioso, che è implicito nell’essenza dell’essere umano»[32]. Riconoscere la prospettiva dell’alternanza di divieto e trasgressione significa difatti per il nostro autore riconoscere il carattere sacro dell’animalità e il suo legame con gli albori della religiosità umana. Citando le tesi di Maringer[33] e riferendosi alla religiosità delle comunità di cacciatori Bataille sottolinea che: «[…] in quanto selvaggina possibile, l’animale […] è oggetto di un atteggiamento equivoco da parte del cacciatore; desidera abbatterlo e nutrirsi della sua carne, e nondimeno lo considera venerabile, cerca il suo consenso prima di ucciderlo, piange la sua morte, lo venera e, dopo la morte, può credersi tenuto a riti espiatori»[34]. L’enigma del pozzo è interpretato dunque in senso religioso-espiatorio[35] proprio in quanto l’espiazione della colpa di aver ucciso l’animale per cibarsene è un elemento tipico della sacralità di numerose tribù di cacciatori[36]. È difatti tale colpa, documentata dal rito espiatorio, che testimonia dunque della profonda vicinanza e della profonda intimità in cui l’uomo, nel sacro, si viene a trovare con l’animale divinizzato, con la natura trasfigurata, con quella ferinità e sensualità alle quali normalmente, nel tempo profano del lavoro e della necessità, volta le spalle. La scena del pozzo è in Bataille la rappresentazione di un dramma, di una lacerazione originaria che segna un distacco tragico e in qualche modo nostalgico[37] da quel regno animale - percepito come libertà violenta, eccessiva, selvaggia e al contempo ingenua - a cui l’uomo non appartiene più e col quale può ristabilire una comunicazione solo all’interno del rito. Essa testimonia di un momento decisivo in cui si coglie, nell’«ambigua amicizia dell’uomo e dell’animale»[38], l’origine erotica dell’arte e del sacro: «Un rapporto drammatico, nel senso che è talmente intenso e coinvolgente che l’animale cacciato e ucciso viene poi, in una sorta di sentimento di riparazione, trasfigurato e ‘salvato’ nella rappresentazione pittorica, e in questa maniera ‘conservato’ e ‘mantenuto’ nella sua ‘essenza’, come segno incancellabile della descent umana»[39]. In Bataille dunque, nascita dell’umano – nel senso di nascita dell’uomo compiuto -, nascita dell’arte e nascita dell’erotismo sono momenti perfettamente coincidenti e fenomeni inestricabilmente connessi. L’erotismo, l’arte, il gioco, il rito, la festa e il sacrificio - in quanto si presentano come un esporsi al rischio, alla rottura del divieto e alla violenza che necessariamente ne scaturisce – costituiscono un terreno di esperienza umana ai limiti del possibile, un affacciarsi dell’uomo alla morte; ovvero un affacciarsi dell’uomo a ciò che maggiormente lo sfida e dal quale egli nel tempo profano del lavoro è invece chiamato a proteggersi. Tale esporsi, documenta e argomenta Bataille, è inoltre mosso da una fascinazione, da una seduzione, da un’attrazione che il mondo della morte, dello scatenamento, del sacrificio e della violenza esercitano sull’essere umano. Tale movente è dunque l’erotismo; nato da quella separazione, in qualche modo originaria, dell’uomo dall’immanenza e dall’immediatezza animale. L’uomo, animale teleologico, può dunque ritrovare temporaneamente la propria immediatezza solo a patto di operare una trasgressione e di sovvertire le norme da lui stesso poste. Difatti: «È lo stato di trasgressione che il desiderio vuole, è l’esigenza di un mondo più ricco e prodigioso, l’esigenza, in una parola, di un mondo sacro. La trasgressione si traduce sempre in forme prodigiose: ovvero nella musica, nella poesia, nella danza, nella tragedia e nella pittura. L’arte non ha altra origine che la festa, in ogni tempo, e la festa, che è religiosa, si lega al dispiegarsi di tutte le risorse dell’arte. Non possiamo immaginare un’arte indipendente dal movimento che generò la festa»[40]. La questione degna di attenzione filosofica è a mio avviso come sia questo rischio, questo affacciarsi, questo terreno esperienziale ai limiti del possibile – che si esplica come abbiamo visto nell’universo dell’arte, della festa e della trasgressione - a definire l’uomo in quanto uomo compiuto nel pensiero batailleano[41]. Compimento ludico-estetico dell’umano che Alfredo De Paz riconduce all’insegnamento di Schiller delle Lettere sull’educazione estetica dell’uomo: «Nell’esperienza erotica l’individuo pone in atto una pratica trasgressiva: trasgressione di tabù, di valori: il suo comportamento è praxis corporea produttiva e creatrice, è gioco; e l’uomo, come ci ha insegnato Schiller, al di là di ogni concezione edificante e superficiale dell’attività ludica (Cfr. Lettere sull’educazione estetica), non gioca che là dove è uomo nel pieno senso della parola e non è totalmente uomo che là dove gioca (Lett. XV)»[42]. Il gioco, l’arte e l’erotismo sono infatti un esporsi insubordinato che costituiscono l’umano nella dimensione del desiderio, della seduzione, del fascino di quell’estrema «approvazione della vita fin dentro la morte»[43]. Non c’è dubbio che Bataille definisca l’uomo a partire dal lavoro ma è sorprendente come l’uomo nell’antropologia batailleana si completi solo insubordinandosi a ciò che lo costituisce almeno inizialmente come tale. L’essere umano è quindi antropologicamente definito sulla base di un conflitto originario[44] a lui interno che è spiegabile solo nella misura di quel distanziamento tra uomo e natura, tra essere umano e bestia che potremmo riassumere nella formula tragedia uomo-natura. Tragedia nella quale la natura, nei suoi aspetti violenti, è dal divieto, formatosi nel lavoro, negata e, proprio in quegli aspetti eccessivi, è nel rito, nell’erotismo e nell’arte ri-cercata sotto una forma ormai per sempre trasfigurata da quella luce di proibizione e dunque di sacralità gettata su di essa.
NOTE RIFERIMENTI
BIBLIOGRAFICI Alessandro Chalambalakis - los@ctonia.com |