Nicola Spagnuolo In Absentia
In Absentia, 20', BN e colore, 35 mm, CinemaScope, Dolby SR, 2000. Parte
1: http://www.youtube.com/watch?v=zNqSd_pHqV0
I
fratelli gemelli Stephen e Timothy Quay, americani di nascita ma inglesi
d'adozione, sono da quasi trent’anni autori di un cinema d’animazione
struggente e grottesco quanto fervidamente creativo. Fortemente attratti
dalla cultura della rappresentazione dell’est Europa muovono i primi
passi ispirandosi al ceco Svankmajer, ai polacchi Borowczyck e Lenica
e sono discepoli del maestro ceco Trnka per quello che riguarda l’animazione
di bambole e pupazzi. Anche riguardo alle tematiche è innegabile
l’influenza di Kafka e Bruno Schulz. Gemelli omozigoti, artisticamente
affini ai confini della simbiosi come Jeremy Irons de Gli Inseparabili
di Cronenberg, i Quay nel 2000 realizzano In Absentia dopo aver
letto l’epistolario di E. H. donna affetta da demenza precoce (schizofrenia)
che scrive ad un marito probabilmente mai esistito da una stanza di ospedale
psichiatrico. In Absentia è dipinto attorno e dentro una
psiche disturbata, sfaccettata e mutante e, per rendere il tutto, i Quay
girano in cinemascope e adoperano contemporaneamente riprese di ambienti
reali, manipolazione della pellicola e marionette. Le riprese sono state strettamente dipendenti dal ciclo solare poiché, a dire dei gemelli Quay stessi, nessuna luce artificiale filtra il grigio come il sole. E. H. stessa è poco illuminata, non compare mai per intero. La si vede di spalle o, come per metonimia, tramite le dita sporche di grafite e avvinghiate alla matita. Le dita scrivono a scatti fogli fitti e indecifrabili, raccolgono le punte di matita e le dispongono allineate come lapidi sul davanzale, punte di matita che scorrono sul pavimento come insetti prima di ricomporre la formazione del cimitero. Senza preavviso, dall’interno di qualcosa che forse è la testa di E. H., compare una marionetta, si muove a scatti nervosi come tutto il resto e ha le sembianze di un diavolo o di un giullare, si aggira senza scopo o contempla la sua dimora. Le lettere una volta finite e imbustate con cura vengono riposte dalla paziente dentro un orologio a pendolo rotto. E. H. sposta le lancette regolarmente ogni volta che “spedisce”, come a scandire un tempo immobile quanto ciclico, battuto solo dal calare e dal levarsi delle ombre sul grigio ricoperto di polvere di grafite. Consegnata una lettera, E. H. prende una nuova matita tra le centinaia che riempiono i cassetti e ricomincia. Fuori, nel frattempo, la finestra sbatte come se respirasse e le gambe meccaniche non smettono di dondolare. *«Sono stato istruito su Sirio e ci ritornerò anche se vivo ancora a Kürten» aveva dichiarato eccentricamente Stockhausen. Nicola
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