Alessandro
Chalambalakis
Arte
come dissoluzione
Georges Bataille e l’estetica-estatica
della nigredo
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Francis
Bacon, Self-portrait, olio su tela, 1971, Parigi, Musée
National d'Art Moderne, Centre Pompidou. |
Arte
come alchimia, fusione, confusione, assetto e riassetto degli elementi,
dei materiali e delle forme. E per elementi e materiali non si intendono
solo i supporti, gli strumenti, le tecniche e i mezzi espressivi ma anche
e soprattutto emozioni, percezioni e sensazioni; le esperienze, i vissuti,
il tessuto relazionale dell’artista con l’altro.
Arte come opera magica, come opera in cui l’artista-mago-demiurgo
reinventa se stesso, il mondo e l’arte medesima alla luce di quello
che a tutti gli effetti si può denominare come il suo potere. Egli,
parafrasando A. O. Spare, ottiene senza chiedere.
Questo ci conduce immediatamente alla questione primaria, ma potremmo
anche dire primordiale, dei significati della nigredo, dell’opera
in nero: essa è indubbiamente la parte maggiormente libertaria
e anti-antropocentrica di tutto il pensiero alchemico. Essa, in quanto
simbolo di morte sia della soggettività metafisica che di quella
anagrafica, costituisce l’accesso a un io-pan caratterizzato
da una soggettività plurale, lacerata, aperta, dionisiaca.
Ecco dunque perché in merito alla semantica espressa dalla nigredo
ritengo che la riflessione batailleana sia la più appropriata.
Vorrei che tramite la sua riflessione il termine ‘nigredo’
riuscisse a serpeggiare fuori da tutti quegli aspetti vincolanti dei vari
sistemi esoterici e occultistici in senso stretto. Questo per due ragioni:
innanzitutto perché i sistemi calzano sempre stretti e in secondo
luogo perché è l’arte la prima a compiere una simile
operazione di svincolamento: essa gioca coi simboli - talvolta ironicamente,
talvolta drammaticamente - e si beffa di se stessa e del mondo prendendo
a prestito da ogni dove culturale senza mai compromettersi troppo. Una
certa leggerezza la contraddistingue. Il bello dell’arte è
che, quando vuole, sa perfino sostituire la religione ponendo come valori
centrali, il gioco, il movimento, le danze, l’esperienza. Ricorrere
a Bataille ha dunque senso proprio in quanto pensatore di tale contrapposizione
ai sistemi chiusi e a qualsiasi gerarchia di simboli. Bisogna accettare
che ogni simbolo è sfuggente, immediatamente altro: la sua natura
consiste più nel generare spaesamento che non nel preciso indicare
o puntuale segnalare. Nigredo dunque liberata poiché vissuta
liberamente nel grande gioco-rito inutile dell’arte. Inutile nel
senso di non funzionale, non servile, inadatto alle esigenze conservative
in quanto il suo movimento principale è quello della messa
in questione e, a maggior ragione per quanto riguarda questa sede,
della messa a morte, del sacrificio delle forme chiuse.
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Francisco
Goya,
Saturno divora un figlio, 1820-23,
olio su intonaco trasportato su tela,
Madrid, Museo del Prado.
Goya è descritto da Bataille come quel pittore, significativamente
contemporaneo di Sade, che più di tutti, annunciando la pittura
moderna, ha espresso tramite il simbolo, il mito e la storia l’intera
lacerazione del mondo contemporaneo: il decadimento fisico, morale
e mentale sono come solchi che attraversano le sue tele che raccontano
e investono di dramma l’intera razionalità umana. |
La
nozione di messa in questione dell’essere, immediatamente
legata al concetto di squilibrio, è termine fondamentale
per comprendere l’interconnessione tra i significati primari della
nigredo e l’intera estetica batailleana. Prima però
di giungere a questo sarà necessario soffermarsi sui particolari
toni filosofici che le categorie di male, materia e
natura assumono nel pensatore francese.
In
un articolo apparso sulla rivista Documents[1] (n. 1, anno II,
1930), dal titolo Il basso materialismo e la gnosi, Bataille,
all’interno di un contesto di critica dell’idealismo, valorizza
il coraggio del dualismo gnostico e del manicheismo rispetto alla tradizione
monistica greco-occidentale che, contrariamente alle dottrine dualistiche,
non ha mai saputo guardare alla materia e al male come
a un «principio attivo»[2] ma solo come a una «degradazione
di principi superiori»[3]. Secondo Bataille:
«Attribuire
la creazione della terra dove ha luogo la nostra agitazione ripugnante
e derisoria a un principio orribile e perfettamente illegittimo
implicava evidentemente, dal punto di vista della costruzione intellettuale
greca, un pessimismo nauseante, inammissibile, l’esatto contrario
di ciò che era necessario, a ogni costo, affermare e rendere universalmente
manifesto. In effetti poco importa l’esistenza opposta di una divinità
eccellente e degna di assoluta fiducia dello spirito umano se la divinità
nefasta e odiosa di questo dualismo non gli è riducibile in nessun
caso, senza alcuna possibilità di speranza»[4].
Bataille
è perfettamente consapevole che la dottrina dualista è comunque
orientata spiritualmente alla divinità positiva[5] ma ciò
che più gli preme, nella sua paradossale apologia del basso,
è la valorizzazione eterologica di ciò che nella materia
è refrattario a qualsiasi riduzione, a qualsiasi costruzione-circoscrizione
idealistico-intellettuale. Non è un caso che l’autore francese
metta in risalto l’assenza di sistematicità, di istituzionalità[6]
e dunque di utilizzabilità-servilità della teologia gnostica.
Tale assenza l’ha sempre relegata ai margini dell’ufficialità:
margini sociali e culturali che le hanno permesso di esprimere «senza
riguardo delle ossessioni mostruose»[7] e costruire un «Pantheon
provocante e particolarmente immondo»[8].
Esaminando
le raffigurazioni sulle pietre intagliate, fra le divinità gnostiche
di questo Pantheon, divinità del male-materia, espressioni
del basso materialismo, di quel fango archetipico e di quella violenza[9]
della natura dalla quale la vita proviene e alla quale è destinata
a ritornare, Bataille ne evidenzia una di particolare rilevanza: il dio
acefalo[10].
La divinità senza testa, nella gnosi paradossale[11] di
Bataille, diventa quindi il simbolo di un materialismo («[…]
intendo un materialismo che non implica ontologia, che non implica che
la materia è la cosa in sé»[12]) indicante una non
riducibilità degli elementi bassi e caotici - legati alla morte,
all’erotismo e al male – ai principi idealistici della ragione.
Scrive difatti:
«Quindi
a ciò che si può ben chiamare la materia, poiché
ciò esiste al di fuori di me e dell’idea, io mi
sottometto interamente e, in questo senso, io non ammetto che la mia ragione
diventi il limite di quello che ho detto, perché se procedessi
così, la materia limitata dalla mia ragione prenderebbe subito
il valore di un principio superiore (che questa ragione servile
sarebbe incantata di stabilire al di sopra di lei, per poterne parlare
come funzionario autorizzato). La materia bassa è esteriore e estranea
alle aspirazioni ideali umane e rifiuta di lasciarsi ridurre alla grandi
macchine ontologiche che risultano da queste aspirazioni. Ora, il processo
psicologico a cui si ricollega la gnosi ha la stessa portata: si trattava
già di confondere lo spirito umano e l’idealismo davanti
a qualcosa di basso, nella misura in cui si riconosceva che i principi
superiori non potevano opporvisi»[13].
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Gustave
Moreau, L’apparizione,
1874-1876, olio su tela,
Parigi, Musée Moreau.
Gustave Moreau
è invece presentato da Bataille come precursore del surrealismo
in quanto pittore onirico sensualità e morte. La sua pittura,
nonostante sia ancora attraversata da un certo formalismo, vive
di una violenta forza inconscia totalmente in opposizione alla
pittura tradizionale del suo tempo.
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È
dunque esattamente in quest’ottica che dobbiamo inquadrare non solo
l’eterologia e l’erotologia[14] batailleane, espresse
a partire da Documents e che confluiranno nella simbologia della
rivista Acéphale, ma anche la stessa polemica con André
Breton il cui hegelismo appare, al Bataille basso materialista,
illusorio in quanto ingenuamente credulo di poter risolvere in un superamento
«panlogista»[15] e «conservatore»[16] quelle insanabili
contrapposizioni irriducibili a sistema.
Il senso di questa dialettica negativa del basso materialismo batailleano
è difatti quello di un perpetuo movimento che non approda mai ad
alcuna sintesi definitiva ma che vive di continue messe in gioco del pensiero
e della filosofia medesima proprio tramite una trasgressione linguistica
operata tramite l’utilizzo di quelle oscene, basse, provocanti e
provocatorie immagini naturali e materiali in sostituzione-contrapposizione
delle astrazioni filosofiche più consuete. L’idealismo si
configura in Bataille come volto dell’imperialismo generalizzante
che deve essere contrastato tramite una rivalutazione (paradossalmente
positiva) del male, dell’eterogeneo e dell’eteroclito. L’eterologia
batailleana si presenta dunque come discorso relativo all’irriducibilità
e irrinunciabilità del particolare, del plurale, del negativo,
dello scarto e dell’esubero. Categorie delle quali l’apertura
rappresentata dall’acefalo-policefalo si fa portavoce, soprattutto
in quel movimento politico-erotico e politico-sacrale di contestazione
di ogni addizione teologico-politica e teleologico-politica e dunque di
ogni verticismo e monismo totalitario e totalizzante.
Taglio della testa (lacerazione del soggetto, sacrificio dell’io-Dio
di tradizione idealistica) e basso materialismo si configurano come due
declinazioni di un medesimo movimento volto a recidere il soggetto-testa,
il soggetto-capo in vista di una soggettività lacerata fondante
una comunità aperta alla seduzione e non schiava dell’essere
funzione[17]. Sono questi i concetti fondamentali che poi tramite
l’interpretazione batailleana di Nietzsche segneranno lo schieramento
a favore dell’appartenenza all’orizzontalità della
terra e all’intimo, tragico e immanente godimento di essa.
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Édouard
Manet, Olympia, 1863, olio su tela, Parigi, Musée
d'Orsay.
L’Olympia
di Manet è letta da Bataille come precorritrice della pittura
moderna in quanto il pittore francese, dipingendo ciò che
vedeva e non ciò che avrebbe dovuto vedere, contribuì
enormemente al superamento della concezione idealistica del bello
e condusse la poco lungimirante critica del tempo a parlare di “bruttezza
da gorilla” proprio in riferimento alla sua Olympia.
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Il
sensualismo, il godimento, l’apertura all’indeterminatezza,
al meraviglioso, al dionisiaco[18], al fascino (e dunque l’immediata
vicinanza con l’erotico, con ciò che seduce)
di tale approccio è immediatamente connesso ai fondamentali concetti
che in ambito occultistico delineano la semantica della nigredo.
Essa, in quanto opera di dissoluzione delle forme e di materica immersione
nel caos della terra, si presenta in tutto e per tutto come rivolta del
basso contro l’alto, come rottura dei confini individuali tra gli
oggetti e tra i soggetti: essa non è altro che rottura panica in
nero del principium individuationis. Difatti, la fusione erotica,
in Bataille, consiste in questa infrazione della discontinuità
caratterizzante lo spazio, la distanza tra un essere e un altro. L’erotismo,
in quanto dissoluzione, in quanto rottura dell’individuazione, ha,
secondo l’intellettuale francese, come la morte, il significato
di un accesso a una continuità dell’essere, a una totalità
dell’essere che può darsi solo nella lacerazione dell’individuo
isolato; nell’apertura, tramite il desiderio, del soggetto all’altro:
«Il
passaggio dallo stato normale a quello del desiderio erotico presuppone
in noi la dissoluzione relativa dell’essere costituito nell’ordine
del discontinuo […]. L’azione decisiva è il denudamento.
La nudità si oppone allo stato di chiusura, vale a dire allo stato
di esistenza discontinua. È uno stato di comunicazione, che rivela
la ricerca di una possibile totalità dell’essere al di là
del ripiegamento su se stesso. I corpi si aprono alla continuità
grazie a quegli organi celati che ci fanno conoscere il sentimento dell’oscenità.
L’oscenità è lo squilibrio che sconvolge uno stato
dei corpi conforme al possesso di sé, al possesso di una individualità
solida e duratura»[19].
La
comunicazione, la violazione reciproca delle individualità
che si esprime nel denudamento, nella tensione e nell’effusione
erotica è di conseguenza apertura, reciproca disponibilità,
passaggio[20] (transito, direbbe Perniola[21]) degli amanti in
uno stato di con-fusione, di indistinguibilità delle forme[22]
e dei confini individuali. Tale tensione scaturisce da quella mancanza
che - testimoniando della crisi dell’integrità e dell’unità
del soggetto - origina desiderio, anelito al completamento, alla perdita
di sé, all’abbandono e al trasporto.
La comunicazione non avviene a partire dalla pienezza degli esseri
bensì a partire dalla loro insufficienza. Il pensatore francese
concepisce perciò la nozione di comunicazione come partecipazione
al male e al sacrificio costitutivi della deflagrazione
del soggetto, della violazione delle forme chiuse, della messa in
questione dell’integrità dell’essere. Difatti:
«Così
la “comunicazione” senza la quale, per noi, nulla esisterebbe,
è assicurata dal delitto. La “comunicazione” è
l’amore e l’amore sporca quelli che unisce[…].
Rovinando in me stesso, negli altri, l’integrità dell’essere,
mi apro alla comunione, posso giungere al culmine morale.
E il culmine non è subire, è volere il
male. È accordo volontario col peccato, con il delitto, il male»[23].
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Max
Ernst, La vestizione della sposa, 1940, olio su tela, Venezia,
Peggy Guggenheim Foundation. |
L’erotismo,
mettendo in gioco l’essere in una radicale messa in questione della
sua separatezza e del suo isolamento, si presenta come esperienza estatica
totale, non mutilata[24], priva di restrizioni e prescrizioni
morali o dogmatiche. Libero da ogni apriorismo e da ogni rinuncia, l’erotismo
è, in quanto «aspetto immediato dell’esperienza interiore»[25],
quell’esperienza che è «sola autorità, solo
valore»[26]. Nulla in essa è subordinato. Essa è movimento
integrale non sottomesso ad alcun ordine sistematico o morale. L’erotismo
di Bataille, contrariamente a qualsiasi approccio teologico, pretende
un accesso all’ék-stasis senza sottostare ad alcun
progetto ascetico. Ecco dunque il perché del rifiuto dei sistemi
chiusi da parte di Bataille. Rifiuto di sistemi chiusi qualunque sia la
loro natura specifica (dogmatico-religiosa, filosofica o anche occultistica).
Il punto in Bataille consiste nell’evidenziare come nei miti, nelle
dottrine esoteriche e nelle religioni siano quelle esperienze maggiormente
vicine alla materia a permettere l’accesso al sacro. Tale componente
è presente in tutti i sistemi ma è sempre subordinata ad
un fine salvifico. Bataille invece libera questa componente bassa, erotica,
materica, informale e la svincola da ogni scopo e da ogni funzione. Essa
è ed è sacra in quanto è. Non va
imprigionata o rinchiusa in leggi proprio perché la sua natura
è di essere perpetua contestazione di ogni legge. Da questo punto
di vista si capisce come siano dunque i sistemi a cadere in contraddizione
integrando il negativo. Se per qualsiasi sistema religioso il negativo
è integrato, risulta infine neutralizzato. In Bataille esso è
invece libero, perpetuo e non vincolato a null’altro fuori di sé.
In questo senso possiamo affermare che il pensiero di Bataille è
una costante nigredo. Non a caso egli affermerà che in
questo senso l’arte e la letteratura moderne hanno funzione sacrale
proprio in quanto non tendono ad alcun sistema, ad alcun giudizio e ad
alcuna risoluzione delle crisi e dei movimenti caotici che rappresentano.
Esse esprimono una sacralità dell’antitesi che non aspira
ad alcuna salvezza, ad alcuna sintesi bensì a un perpetuo esperire
dionisiaco.
Nonostante Bataille non nutrisse un particolare interesse per l’occultismo
(si definiva tutt’al più un simpatizzante) ciò non
toglie dunque che da un punto di vista simbolico e concettuale vi siano
innumerevoli analogie e intersezioni tra le declinazioni concettuali dell’opera
in nero e il suo pensiero. Decapitazione del soggetto metafisico,
morte dell’io, messa in questione dell’essere,
basso materialismo, erotismo e nigredo sono
concetti perfettamente congrui e seguono la medesima direzione. Il punto
di grande interesse in questa sede consta nell’arrivare a comprendere
come tali concetti possano tradursi nel campo dell’attività
estetica e, in particolare, nel caso dell’arte moderna e contemporanea.
È difatti il piacere, e non da ultimo il piacere nella fruizione
estetica, che, afferma Bataille, ci guida nella distruzione e nella volontà
di danno:
«Quando
l’orrore viene trasfigurato da un’arte autentica, è
in causa un piacere, un piacere strano ma pur sempre un piacere»[27].
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Salvador
Dalì, Lo stipo antropomorfico, 1936, olio su legno,
Düsseldorf, Kunstsammlung Nordrhein – Westfalen. |
Tale
piacere costituisce una tentazione alla quale l’essere umano non
manca mai di cedere. Si pensi alle trasformazioni che l’ideale di
bello ha subito a partire dall’arte romantica in poi. La bellezza
ideale è stata sempre progressivamente abbandonata dapprima in
nome del fascino del notturno dopodiché in nome del realismo per
poi approdare, da Cézanne in poi, a una progressiva e inarrestabile
scomposizione della forma. L’attrazione nei confronti del
difforme è un esempio formidabile di come nell’arte
il carattere dell’ossessione guidi gli intenti espressivi e ci ricorda
la stessa paradossalità dell’umano in quanto finiamo di trasfigurare
la bruttezza in bellezza, pur mantenendola come terribile, assurda, grottesca
e mostruosa.
Quindi, ciò che seduce, sia nel materico smembramento alchemico
caratteristico dell’arte moderna e contemporanea che in molteplici
aspetti delle religiosità arcaiche[28], è il fatto che esso
rappresenta un’alterazione, una diversificazione, una rottura dei
limiti, una forzatura delle nostre stesse gabbie, un transito rituale
in quella zona di confine tra la polis e la silva, tra
la civiltà e la ferinità.
Tale transito ha quindi un significato di rottura rispetto alle leggi,
alle norme e dunque alle forme della civiltà.
Tale transito possiede il significato del gioco e della festa. L’attività
estetica, così come l’attività ludica e quella erotica,
costituisce rispetto all’universo civile del lavoro e della conservazione
un’antitesi, un’attività libera:
«È
lo stato di trasgressione che il desiderio vuole, è l’esigenza
di un mondo più ricco e prodigioso, l’esigenza, in una parola,
di un mondo sacro. La trasgressione si traduce sempre in forme prodigiose:
ovvero nella musica, nella poesia, nella danza, nella tragedia e nella
pittura. L’arte non ha altra origine che la festa, in ogni tempo,
e la festa, che è religiosa, si lega al dispiegarsi di tutte le
risorse dell’arte. Non possiamo immaginare un’arte indipendente
dal movimento che generò la festa»[29].
Inoltre,
una delle più grandi innovazioni dell’arte moderna e contemporanea
è consistita nell’aver trovato, sottolineato ed estremizzato
quella forte presenza e quel decisivo ruolo che azioni, movimenti e pensieri
fuori controllo, casuali, asimmetrici e imperfetti giocano nella creazione
dell’opera e, di conseguenza, nella costituzione di nuove concezioni
del bello.
Indubbiamente tali componenti erano già presenti in taluni aspetti
delle culture antiche e arcaiche: mi riferisco agli elementi più
materiali e disordinati delle mitologie cosmogoniche e, di conseguenza
alle tipologie di riti che ne derivavano ma ritengo si possa affermare
che un tale spingere all’estremo la lacerazione dell’individuo
e del mondo non si era mai verificato fino al sorgere dell’arte
e della cultura moderna[30].
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Pablo
Picasso, Donna che piange,
olio su tela, Londra, Tate Modern. |
L’arte
moderna si è pertanto schierata contro ogni tendenza idealizzante,
il suo optare per la magmaticità delle tecniche e delle rappresentazioni
e per lo scardinamento della precisione formale attraverso la ricerca
dell’anomalo, costituisce davvero un’attrazione per un materialismo
graffiante e critico nei confronti della tradizione estetico-culturale
di tipo idealistico-idealizzante. L’infantilismo e il primitivismo
degli studi a-formali che dai padri dell’Espressionismo
giungono fino alla Transavanguardia e Nuovi Selvaggi
- passando per Die Brücke, Futurismo, Surrealismo
e Cubismo - ne costituiscono gli esempi più significativi.
Il
rovesciamento che queste forme espressive attuano è quello di un’alterazione,
di una de-composizione degli spazi e delle forme parallela a
quell’erotica scomposizione dell’io che gli studi
di Bataille hanno evidenziato esserci in talune frange di ritualità
festive in epoca arcaica e antica[31]. Basti pensare agli eccessi e alle
dissoluzioni-dissolutezze tipiche dei Kronia greci,
dei sempre greci Hybristiká (da hýbris:
eccesso, violenza, attacco all’ordine,
eccedere i confini ma anche sfrenatezza, lascivia,
lussuria), dei Saturnalia romani o delle Sacee
bailonesi. Il fulcro dell’interesse batailleano è dunque
quello di rilevare come gli elementi perturbanti della vita (la morte,
la sporcizia, l’erotismo) vengano continuamente ricercati e rivissuti
dagli uomini, nonostante cambino forma e caratteristiche espressive.
Questo discorso non toglie nulla alle novità introdotte culturalmente
dall’arte moderna, non vuole di certo presentarsi come argomento
volto a ridurre quest’ultima alla sacralità antica, anzi,
come abbiamo accennato prima, le scomposizioni psichiche, culturali e
sociali che si manifestano nell’uomo moderno, perfettamente espresse
dall’arte, sono indubbiamente caratterizzate da una lacerazione
maggiore e probabilmente senza pari rispetto al mondo antico proprio in
quanto è il mondo moderno che si separa, secondo la logica dell’utile
e del profitto a tutti i costi, da una sacralità relativa alla
terra, conscia della propria visceralità. Di conseguenza un tentativo
di riapprodo al sacro immanentisticamente inteso risulta enormemente più
conflittuale e drammatico. Ciò tuttavia non toglie che non sia
possibile fare un discorso in questa direzione proprio in quanto è
la stessa pittura moderna che ce ne offre la possibilità. Pensiamo
alla dissoluzione munchiana della forma e del soggetto unita alle sue
rappresentazioni tormentate della femminilità, all’erotismo
e al culto per il doppio nelle raffigurazioni e negli autoritratti di
Schiele, alla poetica bacchica e tauromachica di Picasso, all’arcaicità
surreale di André Masson, alle fantasie zoomorfiche e teriomorfiche
di Max Ernst, al devastante discioglimento del soggetto nelle pitture
di Francis Bacon, all’erotismo scomposto e smembrato delle bambole
e delle illustrazioni di Hans Bellmer, alla ritualità caotica e
teatrante di Dada e dell’Action Painting, al gusto
dell’Informale per il colore applicato casualmente, grossolanamente
e matericamente, fino ad arrivare alla sanguinosità e alla morbosità
dei rituali autolesionistici della Body Art (Günter Brus,
Ron Athey, Franko B, Gina Pane) o addirittura esplicitamente misterici
e neopagani del teatro di Hermann Nitsch.
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Jackson
Pollock, The she-wolf , 1943, olio, gouache e plaster su
tela,
New York, Museum of Modern Art. |
La
stessa decostruzione delle forme espresse in pittori come Dalì,
Picasso (delle tele di Dalì Bataille, coerentemente coi suoi continui
ribaltamenti categoriali, dirà provocatoriamente che sono di una
«spaventosa bruttezza» e proprio per questo grandiose) conduce
quindi alla dislocazione del pensiero idealisticamente e uranicamente
inteso in nome di una rivalutazione del corpo, dell’eros
e del pathos in quanto maggiormente fedeli alla terra. È
precisamente questo il compito estetico-estatico che Bataille
si propone quando in Documents (come abbiamo visto) opera una
costante trasgressione della filosofia oscenizzandone i linguaggi. Riportare
dunque, tramite gli insegnamenti dei miti, dell’arte e della letteratura
il pensiero alla vita carnalmente e relazionalmente intesa.
I riferimenti
e gli interessi batailleani sono innumerevoli e spaziano dall’ambito
letterario a quello pittorico passando per il campo etnologico di studio
delle religiosità arcaiche, antiche e medievali. Perfettamente
in linea con la sua ricerca estetica vanno difatti anche gli studi letterari
di Bataille che vertono dalle insurrezioni testuali e visive di William
Blake alle tormentate pagine baudelaireane, dalle sfide sadiane alla morale
agli scritti di Michelet, Genet, Kafka e Proust.
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Hans
Bellmer, Les bas reyes, 1974. |
Le
arti moderne, così come le moderne letterature, alterando le forme,
sottraggono l’oggetto rappresentato al mondo ordinario delle cose
così come i sacrifici arcaici sottraevano le vittime all’universo
dell’utile. La sfera sacrale dell’extra-ordinario
si fa strada tramite l’alterazione, la distorsione, la dissoluzione.
Operazioni di straniamento che non vanno a colpire solo l’oggetto
ma l’intero rapporto soggetto-oggetto, l’intera (presunta)
solidità dell’io e della soggettività metafisica.
La coscienza medesima è quindi disorientata, in stato di con-fusione
con una natura tragicamente in festa con se stessa.
La grandezza lussuosa e lussuriosa dell’arte, della letteratura,
del gioco, della festa e dell’erotismo sono la testimonianza della
non riducibilità dell’essere umano ai soli processi utilitari
di produzione e conservazione. Artisti come Van Gogh, poeti come Baudelaire,
filosofi come Nietzsche non appartengono alla storia dell’arte,
della letteratura o della filosofia bensì fanno parte in tutto
e per tutto dei miti sanguinanti dell’esistenza.
Il fulcro del discorso batailleano, per quanto riguarda lo specifico delle
poetiche post-romantiche, verte sulla messa in evidenza del come l’arte
e la letteratura si sostituiscano al compito sacrale-sacrificale dei miti
religiosi riattualizzando una ritualità, per saccheggiare Rimbaud,
assolutamente moderna e dunque ri-mitologizzando il
mondo e l’uomo svincolando, contrariamente ad ogni religione, questa
stessa azione da ogni pretesa dogmatica o universalistica. È difatti
precisamente in questa accezione che dobbiamo intendere la batailleana
estasi del negativo in tutto e per tutto assimilabile ai significati di
un’estetica della nigredo.
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Gina
Pane, Death control, 1974, performance. |
Nigredo
è dunque concettualmente vicina a quella crudeltà artaudiana
che ha il compito di introdurci a un contatto maggiormente profondo e
viscerale con la vita stessa. Crudeltà da intendersi nel suo etimo
di crudus (‘crudo’, ‘acerbo’, ‘non
cotto’, ‘non cucinato’: non preparato e dunque non informato
di umanità o civiltà, inteso dunque in tutta la sua accezione
anti-umanistica e anti-antropocentrica). Etimo che si rivela così
estremamente vicino a quell’intrattabilità della materia
così tipica dell’opera al nero. Quell’intrattabilità,
quella contagiosità e quell’infettività che tanto
spesso gli estetismi contemporanei hanno così vigliaccamente rimosso.
L’igienismo interna il difetto, la sana difformità del vivere,
la componente amorfa delle relazioni, isola i soggetti in camere sterili
e plastifica persino quelle trasgressioni che andrebbero invece ricondotte
alla tragedia, al pathos e alla tensione tra i singoli. Nel senso
di Baudrillard si può affermare che nigredo è uno
di quei simboli di trasparenza del male ovvero di quella insubordinazione
a tutti quei sistemi di positivizzazione e di igienizzazione
totale delle emozioni, dei desideri e della stessa corporalità.
Nigredo potrebbe dunque essere un ripristinato antagonismo contro
le chirurgie estetiche e morali che volgono il proprio bisturi igienizzante
alla correzione del difetto, dell’asimmetria, dell’imperfezione;
alla correzione del negativo. Contro le patine, contro i lifting
praticati all’arte e alla cultura, nigredo rivendica il
basso, la carne e la tumultuosità della vita.
NOTE
[1] Documents - doctrines, archéologie, beaux-arts, ethnographie.
Rivista fondata da Bataille insieme a Jean Babelon e Pierre d’Espézel
della quale lo stesso Bataille sarà direttore responsabile. La
vita intellettuale della rivista sarà breve: dal 1929 al 1931.
Ad essa si uniranno i contestatori del surrealismo, critici verso Breton,
come Limbour, Leiris, Vitrac, Desnos. Bataille, rimasto sempre volutamente
ai margini dell’esperienza surrealista, si farà difatti portavoce
del malcontento tra le file del surrealismo indirizzando la stessa rivista
Documents a una violenta critica degli aspetti più idealistici
del pensiero di Breton.
[2] G. Bataille, Le bas matérialisme et la gnose, in id.,
Œuvres complètes, t. I, Paris, Gallimard, 1970, p.
223; trad. it., Il basso materialismo e la gnosi, in G. Bataille,
Documents, Bari, Dedalo, 1974, p. 98.
[3] Ivi, p. 223 (trad. it. p. 101).
[4] Ibidem.
[5] «È vero che l’oggetto supremo dell’attività
spirituale dei manichei come degli gnostici era costantemente il bene
e la perfezione: è per questo che le loro concezioni hanno in sé
il loro significato pessimistico. Ma è quasi inutile tenere conto
di queste apparenze e solo la concessione torbida al male può in
fin dei conti determinare il senso di queste aspirazioni […]. È
possibile essere in tutta libertà un giocattolo del male se il
male stesso non ha da rispondere davanti a Dio». Ivi, p.
224 (trad. it. p. 101-102).
[6] «[…] a questo proposito, è essenziale fare osservare
che la gnosi, e allo stesso grado il manicheismo che, in qualche modo,
ne deriva, non hanno mai servito alle combinazioni sociali, non hanno
mai assunto il ruolo di religione di stato». Ivi, p. 223
(trad. it. p. 98).
[7] Ivi, 222 (trad. it. p. 97).
[8] Ivi, p. 223 (trad. it. p. 98).
[9] La violenza animale e (qui possiamo aggiungere) materiale della natura
è ciò da cui, nel divieto, l’uomo si protegge ma a
cui costantemente torna (tramite trasfigurazione mitologica, rituale,
religiosa) nella trasgressione.
[10] G. Bataille, Le bas matérialisme et la gnose, in
id., Œuvres complètes, t. I, op. cit., p. 226; trad.
it., Il basso materialismo e la gnosi, in G. Bataille, Documents,
op. cit., p. 99.
[11] M. Ciampa, La gnosi paradossale di Georges Bataille, in
AA.VV., Georges Bataille: il politico e il sacro, Napoli, Liguori,
1987, p. 22-28.
[12] G. Bataille, Le bas matérialisme et la gnose, in
id., Œuvres complètes, t. I, op. cit., p.
225; trad. it., Il basso materialismo e la gnosi, in G. Bataille,
Documents, op. cit., p. 102.
[13] Ivi, p. 225 (trad. it. p. 102-103).
[14] C. Pasi, Georges Bataille. La ferita dell’eccesso,
Torino, Bollati Boringhieri, 2002, p. 206.
[15] Sara Colafranceschi, Bataille. Una sintesi, Milano, Marinotti,
2007, p. 24.
[16] Ibidem.
[17] «Con il salto della testa l’uomo rinuncia sia all’autorità
divina che a quella terrena, l’acefalità costituisce cioè
la cessazione definitiva delle funzioni servili. Essa reca con sé
il rifiuto di qualsiasi etica di dominio, si configura cioè come
estinzione dell’autorità di un essere sull’altro».
G. Ferrari, Georges Bataille. Il limite e l’impossibile,
Lungro di Cosenza, Marco, 2003, p. 126.
[18] «Nel mito di Dioniso si concretizza pienamente la concezione
batailleana dell’esistenza come sacrificio immotivato dell’essere,
tragedia al limite del riso e follia». G. Ferrari, Georges Bataille.
Il limite e l’impossibile, op. cit., p. 128.
[19] G. Bataille, L’érotisme, in id., Œuvres
complètes, t. X, op. cit., p. 33; trad. it., L’erotismo,
Milano, ES, 1991, p. 23 (trad. it. p. 18-19).
[20] La comunicazione, scrive Rocco Ronchi, è in Bataille «ciò
che passa dall’uno all’altro». R. Ronchi, Un’ontologia
dell’eccesso, in AA.VV., Bataille-Sartre: un dialogo incompiuto,
Jacqueline Risset, a cura di, Roma, Artemide, 2002, p. 90.
[21] Cfr. Mario Perniola, Transiti. Filosofia e perversione,
Roma, Castelvecchi, 1998.
[22] «Ciò che viene messo in gioco nell’erotismo è
sempre una dissoluzione delle forme costituite […], una dissoluzione
di quelle forme della vita sociale, disciplinata, che fondano l’ordine
discontinuo delle individualità definite che noi siamo».
G. Bataille, L’érotisme, in id., Œuvres
complètes, t. X, op. cit., p. 24; trad. it., L’erotismo,
op. cit., p. 19. Ancora: «Nell’uomo l’illusione
della compiutezza è data da una donna vestita; non appena è
mezza nuda la sua animalità diventa visibile e questa vista libera
in me la mia incompiutezza… Nella misura in cui gli esseri sembrano
perfetti, restano isolati, chiusi in se stessi. Ma la ferita dell’incompiutezza
li apre. Attraverso ciò che si può chiamare incompiutezza,
nudità animale, ferita, i diversi esseri separati comunicano, prendono
vita perdendosi nella comunicazione dall’uno all’altro».
G. Bataille, Le coupable, in id. Œuvres complètes,
t. V, op. cit., p. 262-263; trad. it., Il colpevole
in G. Bataille, Il colpevole / L’Alleluia, Bari, Dedalo,
1989, p. 39.
[23] G. Bataille, Su Nietzsche, in id., Œuvres complètes,
t. VI, op. cit., p. 43 e 49; trad. it., Su Nietzsche,
Milano, SE, 1994, p. 49 e 55.
[24] «L’uomo che ignora l’erotismo non è meno
estraneo al limite del possibile di quanto lo sia senza esperienza interiore.
Bisogna scegliere la via ardua, movimentata – quella dell’“uomo
intero”, non mutilato». G. Bataille, L’Expérience
intérieure, in id., Œuvres complètes,
t. V, op. cit., p. 36; trad. it. di Clara Morena, L’esperienza
interiore, Bari, Dedalo, 1978, p. 57.
[25] G. Bataille, L’érotisme, in id., Œuvres
complètes, t. X, op. cit., p. 33; trad. it., L’erotismo,
op. cit., p. 29.
[26] G. Bataille, L’Expérience intérieure, in id.,
Œuvres complètes, t. V, op. cit., p. 18;
trad. it., L’esperienza interiore, op. cit., p.
33.
[27] G. Bataille, L’arte, esercizio di crudeltà –
Da Goya a Masson, Genova, Graphos, 2000, p. 8.
[28] «È indubbio che l’arte ha essenzialmente il senso
della festa, ma appunto, sia nell’una che nell’altra, una
parte è sempre stata riservata a ciò che appare come l’opposto
della gioia e del piacere. L’arte ha finito col liberarsi dalla
sua subordinazione nei confronti della religione, ma l’ha mantenuta
di fronte all’orrore; resta aperta alla rappresentazione del ripugnante».
Ibidem.
[29] G. Bataille, Lascaux ou la naissance de l’art, in
id., Œuvres complètes, t. IX, op. cit.,
p. 41; trad. it., Lascaux. La nascita dell’arte, Milano,
Mimesis, 2007, p. 45.
[30] Bataille fa infatti notare che in ogni epoca vi sono state produzioni
artistiche che facevano del brutto o del mostruoso un elemento attrattivo:
sarebbe dunque in causa tutt’al più l’accentuazione
di un fenomeno già noto.
[31]«La pittura moderna protrae l’ossessione dell’immagine
sacrificale moltiplicata, nel senso che le distruzioni di oggetti che
quest’arte attua rispondono, in maniera quasi cosciente, alla funzione
durevole delle religioni». G. Bataille, L’arte, esercizio
di crudeltà – Da Goya a Masson, op. cit., p.
9.
RIFERIMENTI
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