Alessandro Chalambalakis Lancio di dadi La vita è un lancio di dadi e la cultura è guidata da fraintendimenti. Quattro semplici modi di sfidare la sorte e arrischiare la vita:
I dado - Europa Chi sono i personaggi sotterranei della storia? Coloro ai quali è sfilata davanti la tristezza e l’agonia di non essere voci per nessuno, chi sono? La tragedia che hanno sostenuto nei loro cuori come una zavorra di morte e autenticità: inno alla gioia, inno alla morte. Dolce e cara Europa, i tuoi volti e i tuoi mascheramenti sono infiniti, bizzarri e terribili. Amarti diviene straziante e pensarti quasi impossibile. Fin dove si è spinta la tua follia monumentale della storia? Tanto da costruire un mondo nel mondo e impedirci di vedere fuori dalla finestra? Questa storia monumentale, fatta di uomini e di saggezze, di potenze immani e costruttrici, fatta di dei squartati da Dio, fatta di cristianesimo e di scienza; dove il labirinto? Dove la demonica mania? La selezione conservativa impera incontrastata portando avanti tradizioni che nemmeno ricorda. Dove il fiore del nulla che svelando il deserto apre all’universo? Coloro i quali la vittoria non hanno mai baciato dominano il mio animo, impossibili umani che forse non hanno mai abitato questo mondo di storia e di antiche pietre da collezione. Essere fuori significa impazzire, abbuffarsi di fuoco e disperarsi di grazia. Grazia storica o grazia eterna non importa, sono sempre dipese l’una dall’altra, quasi incontrastate, nonostante i colpi del martello. Ecco i nostri figli, diligenti compilatori del domani, europei comodi e assuefatti alla stabilità della ripetizione. Bravi, bravissimi, ottimi esecutori, forse ingegni, forse ingegneri. O forse, semplicemente, attori senza tormento. Ma noi, popolo inesistente, che solamente tentiamo la vita, il tormento e la disgrazia, vogliamo e amiamo in quanto solamente questo possediamo. Altro non possiamo volere che stare sul margine che separa la civiltà dalla notte che la fonda, la città dall’omicidio che la creò. Ed è da questo fundus tenebrae che vi parlo, che tento invano di ascoltare me stesso e i miei amici mostri. Una certa sensibilità si è sempre accompagnata alla sconfitta. Se sia la prima ad essere causa della seconda o viceversa questo non so dirvelo, ma in fondo poco importa se siamo poeti perché perdenti o perdenti perché poeti, ciò che davvero soltanto conta è l’essere violentemente amanti.
Noi non abbiamo bisogno del Cristo. Siamo abbastanza dionisiaci e temerari da immolarci noi stessi e con un ghigno beffardo bestemmiare e godere dei corvi che ci divoreranno gli occhi. E come in Goya Saturno divora un figlio, noi attendiamo gioiosamente di essere abbandonati dai padri. La terra dei figli. Già, noi senza patria che neghiamo la polis fino a perdere la testa in rituali drammatici, fino a celebrare l’acefalità del non-sapere. E dall’abisso torneremo con in mano i segreti di ogni ombra e di ogni luce. Avremo occhi nei palmi e non necessiteremo d’altro. Siamo contenuto del tempo, non abbiamo contenuto alcuno.
Per paura della morte non è lecito accettare ciò che è contro la vita stessa. Sarebbe già un lento morire. La
scrittura va rivendicata nella sua dimensione luciferina, in quanto espressione
di un processo, di un eterno presente in eterno contrasto con il progetto
e con la dimensione utilitaria della sistematicità. Al contempo
però, necessita dedizione, vocazione, sacrificio. La scrittura non si compie e non vuole compiersi. È sovrana in quanto non risolve. Essa è il dado che non smette di rotolare, il graffio che non si ferma fino a quando non si spezza l’unghia. Se in qualche misura siamo ancora poeti è proprio in quanto siamo filosofi acerbi.
Il centro, in quanto misura di tutte le cose, da tragedia divenne orgoglio. In questo orgoglio l’uomo scoprì l’infondatezza e la precarietà di quella misura. La via al caos era definitivamente aperta. La sofferenza che questa ferita inferì a Narciso lo portò a pensare a se stesso come ad un nulla. Egli tornò così ad essere centro ma, questa volta, non del cerchio bensì della spirale, della vertigine. Tramonta Non
il sole
La nostra è ancora una galassia che si attarda dolorosamente nell’ubriachezza di un sogno di potenza. Come per i demoni il nostro destino è la caduta. Ma non per questo rinunceremo alla vetta. Alessandro Chalambalakis - los@ctonia.com
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