Ksenja Laginja L'immagine e il dominio
Alla base di tutto c’è la
menzogna. Fin dalla nascita del primo uomo, che ha proliferato a lungo
estendendo la sua casa oltre i confini segnati, da un’entità
divina, dietro la quale schierarsi, dove trovare riposo, e giacere lì,
l’uomo è rimasto stabile, invariato. Immobile. Ascoltando
quella voce divina, che ammaestra lo spirito, che rende succubi del terrore
di perdersi. Menzogna. Come parola che manifesta l’esistenza dell’uomo.
Ancora dentro alle tube di falloppio, durante la lunga risalita, contro
correnti opposte, un piccolo pezzo di uomo si ritrova in un vortice, una
nube di spermatozoi, affamati. L’uomo mente a se stesso. L’introduzione,
la forza implicata nel gesto, l’evoluzione, l’infezione del
ventre materno, s’insedia ancora, affamato. L’uomo mente a
se stesso. Caos. Tutto ha origine dal caos. La menzogna si riflette nei
comportamenti comuni, dalla mattina alla sera un fluire continuo di nozioni,
insegnamenti, comportamenti adeguati, da seguire con retta diligenza,
stronzate raccolte tra le mani, pescate una ad una, da un uomo che si
annoiava. L’immagine è alla base della menzogna, il corpo
deve risplendere, appagato, sotto i grandi riflettori disseminati nella
città, capace di brillare in modo convulso negli occhi. Occhi che
sputano lettera dopo lettera, parola dopo parola, inutili discorsi sul
prolungamento necessario della bellezza, per vivere in modo conforme.
La persecuzione del tempo, odiato, in nessun caso amato. Il mondo soffre
di una malattia che si è diffusa, con rapidità silenziosa,
vorace come una pianta carnivora, resistente, ingorda, respirata di bocca
in bocca. Una parola è sufficiente, per rimanere infettato, per
tornare lì dentro. Il linguaggio incanala potenti messaggi, che
possono condurre a molte varianti, ad un’assuefazione generale,
oppure ricondurti dallo stato vegetativo in cui eri schiacciato, alla
condizione peggiore, quella di riuscire finalmente a comprendere il grande
e osceno equilibrio del mondo, di questa terra dove ogni giorno poggi
i piedi, di questa terra che alla fine non hai mai annusato. L’immagine
è alla base, come l’adorazione di Cristo in croce, del suo
sangue, del suo corpo, il sacrificio è quello di cui l’uomo
gode di più, il sacrificio che appaga la carne, che appaga il sesso,
l’orgasmo. Il corpo di Cristo divorato dai suoi figli, che si nutrono
avidamente, nemmeno una briciola sarà sprecata, mentre sulla via
verso casa bestemmiano sulla povertà di quell’uomo in croce,
di quell’uomo mediocre, mentre a casa obbligano i figli a ripetuti
abusi sessuali, mentre se lo fanno prendere in bocca, mentre glielo fanno
ingoiare fino in fondo, per Cristo, solo per Cristo. Padri di famiglia,
cristiani, che mangiano il corpo di Cristo. Dalla menzogna all’immagine
il passo è breve. Tutto è immagine verosimile o non. Tutto
è menzogna. La mutilazione dell’immagine non è percepita,
tutto è libero, splendente. La soddisfazione si manifesta nell’andare
ogni giorno a lavorare, per servire coscientemente il padrone, un padrone
a cui leccare le palle, per stillare qualche goccia d’oro da poter
succhiare con amore, questo è il figlio dell’uomo, questo
è il padre cristiano. Questo è il corpo di Cristo, offerto
a voi in comunione con Dio, per fottere i vostri figli, per uccidere la
madre dei tuoi figli, dona a lei l’eterno riposo. Lo specchio riflette
un’immagine distorta, attorcigliata all’idea mentale, che
risulta prefigurata dentro ognuno di noi. Noi dobbiamo essere così,
costantemente uguali, costantemente vuoti. Costantemente senza senso.
Questa immagine distorta si conserva a lungo dentro il pensiero che non
muore mai, in cui è depositato il frutto della vita, il pensiero
rende schiavi di una percezione alterata, riuscire a capire che la schiavitù
si cela dietro a quell’immagine conclusa è un passo verso
la libertà individuale, verso il martirio. La presa di coscienza
di non sapere quanti lì fuori la pensano come te, tutto di nascosto
per non farsi scoprire, non destare sospetti. La presa di coscienza è
causa di diversità, è quella coscienza che ti isola dal
resto degli uomini, che non comprendono, che non possono arrivare a comprendere.
L’uomo libero, a fatica è
riuscito a nascondersi, tramando una liberazione definitiva del cuore,
dei sentimenti, da quel caleidoscopico vortice di immagini che rivoltano
lo stomaco, che abbracciano con forza ogni muscolo, per piegare le ginocchia,
per sottomettere ogni singolo nervo al benessere della società.
Pochi uomini, che si possono contare su due mani, ogni giorno cercano
di portare avanti il discorso su nuovi orizzonti, che deviano il pensiero,
oltrepassando i limiti, che non sono limiti, poiché non hanno regole
per loro, nessuna corona di spine trafigge il cuore. L’uomo non
deve rappresentare nessuna immagine specifica, solo se stesso, i suoi
dolori, la sua delusione. Il concetto dell’uomo sta alla parola,
come la non –immagine sta al linguaggio. Il concetto dell’uomo
risiede nell’adorazione estrema di qualcosa che pensa di conoscere,
nonostante sia così incomprensibile allo stesso tempo. Il luogo
non cambia, la lingua è differente ma l’uomo rimane sempre
lo stesso, cambia la razza, l’accento straniero, ma l’uomo
che non è mai stato libero, è facilmente riconoscibile.
La bocca viene utilizzata solo per respirare, per emanare dissertazioni
sul come e quando l’immagine variata sarà facilmente perseguibile,
tutto questo conduce nuovamente al fatto che l’uomo non è
capace di comprendere quello che non conosce, e ancora meno quel che conosce.
Svicola la parola diretta, l’attacco espressivo, l’espressione
volgarmente convogliata, perché la paura di se stesso è
ancora più forte di quella che gli altri infondono a lui.
Il corpo immobile dell’uomo è il regno marcio degli insetti, che brulicano in colonie, costruendo lo scheletro, la pelle, tutto quello che lo rende più piacevole al tatto, all’olfatto, alla vista. Questa immagine verrà utilizzata come mezzo di comunicazione, per presentarsi ad altri uomini, da sfoggiare in occasioni particolarmente raffinate, per scoparsi giovani fighe aperte, pronte a ricevere l’ennesima botta e via. Al ritorno verso casa questo corpo, tornerà ad essere la colonia di insetti da cui tutto è generato, ad infestare la casa, a nidificare nelle fratture dei muri, dove le travi cedono nel loro marciume, dove gli intonaci si scrostano, nelle porzioni più nere, ricercando nuovi corpi in cui insediarsi. I corpi ormai inservibili, ampiamente utilizzati, vengono smaltiti attraverso speciali fognature costruite all’origine dell’uomo, che scorrono parallele alla rete idrica della città, dirette al polmone d’acciaio che genera pulsioni intermittenti, che genera l’energia necessaria per bruciare i corpi in esubero. Lo smaltimento avviene durante il giorno, dove il caos che è dentro al cuore dell’uomo copre con i suoi rumori, con il suo odore, ogni traccia appena percepibile. I resti perduti durante le operazioni di smistamento, vengono abilmente occultate, patrimonio dell’umanità che ne seguirà il percorso, il cammino, risplendendo della luce dei propri antenati, lividi predecessori di una stirpe senza dimora, che mangia i cadaveri dei morti, che inghiotte boccone dopo boccone la carne putrida nella casa depredata di qualche uomo libero, soggiogato, cacciato, ripudiato, ucciso e sbranato lentamente mentre è ancora vivo. La carne si scioglie sulla lingua per un pasto cannibale consumato in comunità senza sprechi. Le ossa verranno utilizzate per realizzare splendidi monili che addobberanno la casa come un trofeo di guerra. Carne mangia carne. Cane mangia cane. La vegetazione è ingombrante nell’angolo di mondo definito paradiso terrestre, ma i frutti non sono carnosi e saporiti, al loro posto luridi viscidi insetti appollaiati, pronti a ghermire qualche altro insetto, a depositare uova che andranno a nutrire altri uomini, che andranno ad infettare nuove bocche, insediandosi come cellula ospite, in grado di sfruttare tutte le risorse energetiche messe a disposizione dall’uomo. Energie che verranno incanalate per trasformare, modificare nuovi esseri totalmente soggiogati, senza vista, senza olfatto, senza mani, che vegeteranno nel paradiso terrestre integrandosi perfettamente con le buone parole, l’amore a buon prezzo, il sesso a buon prezzo. Il paradiso terrestre dove puoi comprare immagini a buon mercato, da mostrare durante le lunghe interminabili riunioni di famiglia, un ricordo paradossalmente finto da sembrare vero, percepibile. Il profumo viene mescolato abilmente per produrre una sensazione di totale astinenza, nessuno può farne a meno. Nessuno può fare a meno di questo luogo, mistico, profetizzato 3000 anni fa, o forse di più, tramandato di bestia in bestia, di terra in terra, stirato tra i denti, riflesso dentro ad ogni cellula, inciso nelle memorie.
L’uomo vive per riprodurre il suo seme, per condurlo dentro a qualche buco, per riempire qualche buco, per generare nuovi uomini come lui, nuovi falsi eroi per i figli che cresceranno, mangeranno come lui. La merda che ne uscirà sarà la stessa. La loro riproduzione è un ciclo meccanico di botta e risposta, in cui la donna accoglie il frutto dell’inseminazione, in cui il frutto è già marcio, l’odore è palpabile, nella sua putrescenza maligna. Il figlio dell’uomo venuto a benedire con le sue scintille le teste degli uomini, portatori sani del male del mondo. Il figlio dell’uomo si riproduce nell’assenza totale di coscienza. Il nuovo figlio dell’uomo crescerà nell’alcova di genitori senza cuore, pronti a fotterlo al primo errore, alla prima sensazione di smarrimento, di perdita dell’obbiettivo. L’uomo è destinato a procreare perché questo è l’insegnamento. La regola è stata creata prima ancora dell’arrivo del primo uomo, perché tutti seguissero quello che avevano insegnato a lui, per domare le pecore, ci vuole un bastone e molte belve pronte ad azzannare le debolezze che sono dentro il cuore. Per insegnare, per imparare ci vuole disciplina, accettazione, pazienza. Questo è il comandamento nascosto tra le righe degli altri, mimetizzato. Non avrai altro dio all’infuori di me. Il ciclo riproduttivo si ripete scandito dalla data di scadenza del prodotto finito, pronto per essere immesso sul mercato, non prima di essere marchiato. La segnalazione è necessaria per il controllo futuro, un controllo che promuove l’obbedienza. Le giovani menti devono essere rielaborate fin che sono fresche e libere da qualsiasi altro tipo di nozioni, in altre parole il lavaggio del cervello viene utilizzato per infondere quella beata felicità che offusca la mente, che rende innocuo qualsiasi sentimento. La tecnica consiste nell’applicazione di alcuni elettrodi sulla testa e sul cuore, come un elettroshock in grado di distruggere tutte quelle immagini, quelle parole residue che possono essersi introdotte clandestinamente all’interno del nostro corpo. L’embrione cresce malformato fin dall’inizio, senza accusare nessun tipo squilibrio, tutti con lo stesso encefalogramma piatto.
Questo totale senso di incoscienza può
durare anni, centinaia di anni, e oltre, senza che nessuno alzi un dito,
un alito per chiedere se tutto questo sia giusto, solo perché da
migliaia di anni viene tramandato, con feroce desiderio. L’uomo
ha ucciso in nome della religione, in nome di Cristo, perché questo
era buono e giusto, senza pensare se fosse davvero buono e giusto, perché
l’uomo ha bisogno di credere, di non pensare, di assoggettarsi ad
una parola passata tra le labbra dei profeti, sussurrate con sapiente
maestria, per il gregge, per il popolo. Giovane gregge pronto al massacro,
giovani pelli verranno lacerate sotto i denti di mille lame, che tagliano,
punzecchiano, sfiorano le labbra lacerando un millimetro dopo l’altro,
la carne tenera, rosea, saporita. Di questa carne, che non sfamerà
abbastanza questo pezzo di terra affamato. Di queste bocche disidratate,
che non hanno voce, che desiderano un posto confortevole in cui risiedere,
in cui procreare.
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