Baioni, Giuliano, Kafka: Romanzo e parabola, Milano, Feltrinelli, prima ed. 1962.

Presentazione di Salvo Incardona
in Ctonia -4, Gennaio 2009.

All’interno della sterminata bibliografia kafkiana, ormai divenuta più che cospicua anche tra le fila della germanistica italiana, il saggio di Giuliano Baioni, pure a distanza di oltre quaranta anni dalla prima pubblicazione, spicca nettamente per la sua originalità, per la capacità – spesso sfuggita ai tanti, troppi interpreti dello scrittore praghese – di scavarne a fondo l’opera senza alterarne minimamente i contorni, senza turbarne i meccanismi con procedimenti esegetici forzati e forse inutili. Attraverso un’impostazione rigorosamente cronologica Baioni cerca di cogliere lo sviluppo organico del corpus kafkiano, prova ad insistere favorevolmente sulle dinamiche narrative e sulla dialettica interna. Enucleando quelli che sono i motivi presenti nell’opera di Kafka – la solitudine, la colpa, l’esilio, la malattia, la religione, la giustizia, il rapporto conflittuale con l’universo femminile – l’autore del presente saggio mette in luce l’inconsistenza dei vari approcci ermeneutici susseguitisi senza alcuna interruzione subito dopo la morte dello scrittore praghese, sottolineando invece come i motivi riconducibili all’ebraismo siano fondamentali per comprendere le intenzioni della sua narrativa. Nello specifico Baioni intuisce l’importanza che in Kafka riveste «la coincidenza tematica del mondo ebraico e del mondo borghese», avvertendo il profondo legame tra quel genere che borghese è per eccellenza, ossia il romanzo, e le parabole chassidiche con cui Kafka infarcisce ogni sua opera. Romanzo e parabola sono quindi per Baioni le due dimensioni, i due poli tra i quali si muove e oscilla l’intera narrativa kafkiana; la parabola, espressa in forma di racconto, è il «momento passivo e irrazionale della visione», il romanzo è ciò che sovrappone a tale momento quello «attivo e razionale dell’interpretazione». Due punti che sembrano escludersi e richiamarsi a vicenda, due sfere tra le quali la verità sembra oscillare di continuo, in un dissidio che è forse la vera essenza delle grigie pagine vergate da Franz Kafka agli inizi del Novecento.