Heidegger, Martin, Lettera sull’«umanismo», Franco Volpi, a cura di, Milano, Adelphi,
Piccola Biblioteca, prima ed. 1995.

Presentazione di Alessandro Chalambalakis
in Ctonia -5, Luglio 2009.

In risposta agli interrogativi e ai dubbi espressi in una lettera di Jean Beaufret, Heidegger, nel 1946, scrive la Lettera sull’«umanismo». Parallelamente al problema filosofico dell’umanesimo sollevato da Beaufret nella sua lettera, in questo testo è sviluppata la questione dell’agire umano in relazione alla situazione contemporanea nella quale l’aggressione tecnocratica del pianeta consuma ogni potenzialità simbolico-culturale. La condizione dell’uomo contemporaneo è infatti caratterizzata dallo spettacolo di desertificazione nichilistica di ogni valore tradizionale; non escluso quello dell’umanesimo classico della dignità dell’uomo tramite gli studia humanitatis.

«Si tratta piuttosto di capire fondamentalmente che proprio quando si caratterizza qualcosa come “valore”, ciò che è così valutato viene privato della sua dignità. Ciò significa che con la stima di qualcosa come valore, ciò che così è valutato viene ammesso solo come oggetto della stima umana […]. Lo strano sforzo di dimostrare l’oggettività dei valori non sa quello che fa […]. Il pensare per valori, qui e altrove, è la più grande bestemmia che si possa innalzare pensare contro l’essere».

Il disincanto e la lucidità guidano pertanto il pensiero di Heidegger nell’evidenziazione di come sia assolutamente anacronistico e fuorviante limitarsi al ripescaggio dei valori dell’umanesimo metafisico. Egli giustamente evidenzia come la metafisica sia alla radice dei valori dell’umanesimo e di come sia stata proprio la visione metafisica ad aver condotto l’uomo ad una concezione secondo la quale ogni ente sarebbe stato infallibilmente e indiscriminatamente a disposizione dell’essere umano.

L’umanesimo è fallito in ogni sua forma, afferma Heidegger, proprio in quanto non è mai riuscito a liberarsi dalla sua radice metafisica. Il filosofo, evidenziando la radice romana antica dell’umanesimo, si sofferma così in merito all’umanesimo cristiano, all’umanesimo rinascimentale degli studia humanitatis, all’umanesimo socialista e, infine anche all’umanesimo esistenzialista del Sartre de L’esistenzialismo è un umanesimo. Tali forme di umanesimo condividono tutte una visione per la quale l’umanità dell’uomo è determinata rispetto ad «un’interpretazione già stabilita della natura, della storia, del mondo, del fondamento del mondo, cioè dell’ente nel suo insieme». Dunque «ogni umanesimo o si fonda su una metafisica o pone se stesso a fondamento di una metafisica. È metafisica ogni determinazione dell’essenza dell’uomo che presuppone già, sia consapevolmente sia inconsapevolmente, l’interpretazione dell’ente, senza porre la questione della verità dell’essere […]. Pertanto ogni umanesimo rimane metafisico». Il punto è che la domanda in merito all’essere è in Heidegger inaccessibile alla metafisica proprio in quanto metafisica. Tale inaccessibilità riguarda dunque ogni forma di umanesimo da essa derivante o di essa progenitore. «L’oblio dell’essere si manifesta indirettamente nel fatto che l’uomo osserva e lavora sempre e solo l’ente». Il pensiero deve pertanto riappropriarsi della forza di naufragare, della capacità estatica di abbandono e di riavvicinamento alle proprie radici poetiche e del coraggio di pensare lo stesso nihil come essenzialmente appartenente all’essere stesso: «Entrambi, l’integro e l’ostile, possono tuttavia essere essenzialmente nell’essere solo in quanto l’essere stesso è il contenzioso. In esso si cela la provenienza essenziale del nientificare».

Come per il concetto di nichilismo passivo trattato da Nietzsche, in Heidegger «l’essenza del nichilismo consiste […] nella sua incapacità di pensare il nihil». Non è quindi per niente automatico che i pensatori avversari del nulla sfuggano a quell’ospite inquietante che il nichilismo costituisce. L’ethos heideggeriano consiste dunque in una profonda lucidità e radicalità del pensiero innanzi ad un mondo che cambia troppo velocemente rispetto ad ogni lettura e ad ogni possibile direzione interpretativa. Non più il “che fare?” sembra prospettarsi per Heidegger bensì il “che cosa non fare?”, il “che cosa lasciar stare?”. Il punto in Heidegger sta nel fatto che a suo avviso l’uomo debba liberarsi dall’interpretazione tecnica del pensiero. Troppo spesso la filosofia si trova nella situazione di doversi giustificare innanzi alle scienze e troppo spesso dunque esce dal terreno che secondo Heidegger le è proprio. Contro il predominio del platonismo, Heidegger gioca difatti Sofocle e il pensiero tragico in genere, Eraclito e, di conseguenza, lo stesso Nietzsche.

Il problema di un pensiero concepito esclusivamente come techne emerge solamente nella modernità nella quale la scienza sperimentale si separa completamente e inevitabilmente - e, per molti versi, giustamente – dall’ambizione (per lo più di segno idealistico-razionalista) di una spiegazione unitaria del mondo. Tale contrasto - dal moderno condotto all’estremo, alla separazione più netta, alla dicotomia più profonda - conduce il pensiero (come accade in Heidegger) al di fuori di ogni tecnicismo e avvicinandolo quindi, in un senso chiaramente non distante da Nietzsche, alla poesia e alla creazione artistica. In Nietzsche, tuttavia, contrariamente ad Heidegger, l’atteggiamento è bifronte, polare; anche a costo della compresenza di elementi contrastanti al fine di poter abbracciare la totalità dell’umano. Non è difatti un caso che Heidegger veda in Nietzsche l’ultimo esponente della tradizione metafisica occidentale della quale Heidegger tenta il superamento. Nietzsche difatti non conduce mai apologie antiscientifiche. Rimane un autore fortemente critico di molti degli atteggiamenti della scienza moderna ma laddove essa smaschera le illusioni egli non rinuncia mai a valorizzarne gli aspetti liberatori. Differentemente da Heidegger - il cui atteggiamento sembra maggiormente unilaterale - in Nietzsche, arte, scienza, filosofia e poesia danzano comunque insieme tra le macerie da esse stesse provocate e dalle quali a loro volta scaturiscono. In Heidegger, per alcuni versi, sembra esserci invece un forte ritorno ad una sorta di orientamento idealistico tipico della scuola filosofica tedesca rispetto al quale Nietzsche era sostanzialmente insorto.