Pasini,
Roberto, L’informe nell’arte contemporanea,
Milano, Mursia, 1989.
Presentazione
di Fabrizio Migliorati
in Ctonia - 5, Luglio 2009.
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La
storia dell’arte, o della rappresentazione, è una storia
di forme e di forma in particolar modo. L’artista è colui
che subisce un’ispirazione: un respiro, seppur breve e afasico,
carico dell’idea, platonicamente intesa, della sua opera. Un fatto
straordinario che necessita un suo presentarsi, un prestarsi alla realtà.
Da questa idea conosciuta e dimenticata, posseduta in un tempo non chiaramente
definibile, l’artista è chiamato ad agire fattualmente:
l’idea prende, cioè, forma. La definizione e la chiarezza
come mezzi dell’arte per essere arte: tendendo verso T0,
ogni deformità viene bandita. Ma proprio in questa deformità
bandita si sente quell’urgenza intrinseca all’arte stessa:
quella dell’informe.
Poco incline ad essere tematizzato, l’informe ci percorre così
come percorre le opere; sia in quanto negazione, sia quando la sopportabilità
alla forma si apre. Appare quindi il magma che essuda le forme, lasciandole
comunque trasparire. La bruciante atmosfera vespertina di Turner, le
corpose nuvole dei treni e l’incertezza architettonica della cattedrale
di Rouen di Monet, come il vorticare di Boccioni soffiano sulla rappresentazione
erodendola di continuo e calamitando su di essa incrostazioni di altre
immagini. Difficile raccontare l’informe, impossibile rinchiuderlo
in una “storia”. Proprio per questo, ogni testo dedicato
a questo “tema” va incontro a un fallimento ineluttabile,
al destino fatale del proprio stesso movimento. Lo si può suggerire,
riconoscere; si possono stendere dei piccoli frammenti, chiamati quasi
entusiasticamente “capitoli”, che parlino dell’informe,
non trattenendolo mai. Percepiamo la sua presenza non potendo mai darne
le esatte coordinate topologiche. C’è. Sicuramente è
lì, da qualche parte.
Più che un vero e proprio scacco alla rappresentazione, esso
assomiglia di più al pesce che il vecchio lupo di mare di Hemingway
trascinava con sé. Un pesce sottratto a quella forma cercata
e catturata dal pescatore, portata con sé nella convinzione di
aver vinto, di aver sopravanzato l’animale. Nulla potrà
convincere l’artista che la forma, l’idea che egli aveva
in mente non esista più, nemmeno se chiaramente inficiata dai
segni della voracità dei piccoli pesci. Il suo trofeo non c’è
più e la deformità finale dell’animale è
talmente insopportabile da non poter essere accettata, e neppure visibile.
L’artista-pescatore non vede altro che ciò che non c’è
più. L’informe esprime così tutta quella deformità
che sopravanza i netti confini delle forme; infiltrandosi nella cecità
dell’occhio, così dolcemente da farlo schiudere.