Artaud, Antonin, Eliogabalo o l'anarchico incoronato, Milano, Adelphi, 1998.

Presentazione di Alessandro Chalambalakis
in Ctonia -2, Aprile 2008.

In un linguaggio acido, volgare, perverso e graffiante, Artaud ci parla di se stesso tramite Eliogabalo e di Eliogabalo tramite se stesso. Egli scrive un’opera dove biografia e autobiografia, romanzo storico e teatro s’intrecciano inestricabilmente. Il testo, edito nel 1934, del quale lo stesso autore dichiara l’inattualità profonda, composto di tre capitoli (La culla di sperma, La guerra dei princìpi, L’anarchia), tre appendici (Lo scisma d’Irshu, La religione del sole in Siria, Lo zodiaco di Ram) e dal Dossier d’Eliogabalo, si muove a cavallo tra occultismo e filosofia della religione, tra narrativa, poesia e storia. Difficile immaginare una commistione di elementi così eterogenei tuttavia mai rinunciatari di unità e coesione così come accade in Eliogabalo.
Eliogabalo è per Artaud l’androgino in cui esistenza, crudeltà (sia nel senso di malvagità che nel senso etimologico di crudus: non cotto, acerbo, ciò che precede in senso originario e primitivo), magia e rito tornano arcaicamente a convergere nell’anarchia e nell’esuberanza. Artaud vede nell’imperatore siriano l’ideale della vera anarchia che è in primo luogo anarchia erotica, magnificenza, spreco, eccesso; l’ideale tragico di una rivolta e di una libertà consapevolmente votata al declino, al crollo e al baratro. Egli ammira in Eliogabalo l’aperta insurrezione, la sfacciata, svergognata e impudica ribellione. L’imperatore sacerdote incarna quella vitalità viscerale, superba e luciferina che Artaud concepiva come essenziale al teatro-rito medesimo. Eliogabalo - nato e allevato in grembo a quelle che Artaud definisce fiere puttane, cresciuto e vissuto come imperatore-sacerdote dell’orgia e dell’abbandono ed infine morto assassinato, smembrato e gettato nella lordura delle fogne romane - è stato colui che, secondo Artaud, ha risvegliato l’arcaismo dei princìpi conflittuali originari. Contro la vacuità alla quale il politeismo romano era ormai giunto nel III sec. d.C., egli rivendicò furiosamente l’unione tra sacralità e vertigine, tra erotismo e tragedia.