Veyne,
Paul, I greci hanno creduto ai loro miti?, Bologna, Il Mulino,
2005.
Presentazione
di Alessandro Chalamabalakis
in Ctonia -4, Gennaio 2009.
La
domanda, in apparenza banale e retorica, è tuttavia inevitabile:
come può il popolo inventore della filosofia, del modo razionale
di indagare l’uomo e il mondo aver creduto in miti così distanti
dalla ragione? Domanda che in Veyne implica una rigorosa analitica –
che potremmo definire nietzscheano-foucaultiana - della natura del mito
in relazione ai concetti fondamentali di credenza e di verità.
L’indagine di Veyne parte sì dall’analisi del concetto
di verità in relazione alla dicotomia tra mythos e logos,
tra credenza e conoscenza ma approda a un risultato
del tutto inaspettato. Non si tratta infatti della prevedibile tirata
illuministica di glorificazione del logos greco come immancabile precursore
della razionalità occidentale e nemmeno dell’opposta e speculare
apologia di un irrazionalismo che vede nel mito la contestazione di ogni
razionalità.
Il risultato di Veyne è ben più radicale: nessuna verità
è immune alla credenza, nessuna conoscenza è priva di narrazione,
nessuna razionalità si appoggia solo su se stessa. Il metodo storico
di Veyne ripudia ogni verità con la ‘v’ maiuscola e,
contestualizzando gli scopi e le funzioni delle varie verità lungo
le varie epoche, evidenzia la profonda interconnessione, umana, culturale,
sociale e conoscitiva tra credenza e verità.
Binomio dunque che non permette mai una reale separazione. Inoltre, a
tutto questo è sotteso tutto un discorso critico sul quanto
e sul come la rielaborazione intellettuale moderna del mito greco
abbia condotto a un fraintendimento del mito stesso applicandogli disegni
concettuali, categorie di pensiero e nozioni che sono in ultima istanza
maggiormente indicative del moderno che non della specificità
greca.
L’esito dell’indagine di Veyne è che sì, ovviamente
i Greci credevano ai loro miti; l’autore non cerca dunque di scagionare
la grecità da una presunta pecca irrazionalistica ma anzi mostra
come anche noi moderni crediamo ai nostri miti e come la tanto innalzata
conoscenza occidentale non sia immune da credenze e motivazioni (nel senso
proprio di stati d’animo). La risposta storica, meravigliosamente
storica - solo la storia in fondo riesce a fornirci quello sguardo capace
di liberarci dalla presunta assolutezza di ogni sistema di verità
- è che la verità è in qualche modo ideologia;
la verità - in base ai suoi programmi e alla sua funzione sociale
lungo la storia – muta radicalmente e ogni verità si pone
come incommensurabile rispetto alle precedenti. «La verità
è che la verità cambia».
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